Quando la donna seduta di
fronte a me si chinò per cercare qualcosa nella borsa, una pioggia di lunghi
capelli biondi le coprì il volto e le mani.
In quel momento uno strano pensiero
mi balenò nella mente, cioè che dietro quella chioma voluminosa potesse per un
attimo rivelarsi il reale stato d’animo della donna, per tante ore di viaggio nascosto
sotto una maschera impassibile. Un sorriso per un ricordo felice, una lacrima
per un amore perduto, un’espressione corrucciata di stanchezza, chissà. Nessuno
poteva sapere cosa celavano quei capelli chiari. Si era creato, in qualche
modo, uno sfasamento temporale fra l’io interiore della donna e la realtà esterna.
Il suo tempo personale aveva rallentato un poco il proprio corso ed ella era
entrata in una dimensione appartata, più intima, per ritornare la vera se stessa, anche solo per alcuni
istanti. Immaginavo allora un ghigno beffardo sul volto nascosto, che sembrava
dire: «In questo momento sono libera, non avete alcun potere su di me»
Ma naturalmente tutto questo
era un curioso gioco dell’immaginazione. Nemmeno mi ero accorta che la donna si
era già risollevata e teneva fra le mani una minuscola busta di plastica
contenente un gioiello. Mi presi allora la libertà di osservarla meglio,
approfittando del suo sguardo abbassato sull’ornamento per non sembrare
invadente.
Nel complesso si trattava di
una persona piuttosto anonima, una comune signora di mezz’età che non si
distingueva per un alcun particolare fisico, eccezion fatta per la corporatura
decisamente robusta. Di certo non si poteva definire bella, ma non vi era alcun
motivo per dire che fosse brutta.
Non sembrava, a giudicare dai
vestiti e dagli accessori, particolarmente ricca, ma nemmeno aveva l’aspetto
sciupato di chi suda per arrivare alla fine del mese. Insomma, era una persona qualsiasi.
Tuttavia c’era in lei
qualcosa di dissonante, qualcosa che ad una sola occhiata suscitava
nell’osservatore una sensazione di contrasto. Forse la mia fantasia correva
troppo, ma non potevo fare a meno di pensare che quella donna portasse il
fardello di un conflitto interiore. Per quale legge trascendente emanasse da
lei questo senso di disagio, non avrei saputo dirlo. Poteva anche trattarsi
semplicemente di una mia illusione.
Mi concentrai sul suo
abbigliamento e, ad una più attenta analisi, notai particolari insoliti che
prima mi erano sfuggiti. Portava strani occhiali da sole rotondi, dalla lente
appena rosata e quasi trasparente, che indossati sul viso incorniciato dalla
lunga capigliatura mi ricordavano lo stile un po’ hippy di John Lennon. Ma
l’effetto di discordanza era dato soprattutto dall’abbinamento di una tuta di
pile con degli stivaletti scamosciati molto in voga fra le ragazze più giovani.
Mi chiesi quale attività richiedesse una combinazione di vestiti così
particolare e formulai un’ipotesi tutta mia. Combinai dunque la presenza di un
grande zaino nero da palestra, sul sedile accanto alla donna, con il leggero
untore dell’attaccatura dei capelli, arrivando alla conclusione che stesse
tornando a casa da un faticoso pomeriggio di ginnastica. Magari, per la
stanchezza dopo l’esercizio fisico, aveva preferito tenere addosso la tuta cambiando
solamente le scarpe.
Cercai di reprimere un
ridicolo orgoglio per le mie brillanti capacità investigative, ripetendo a me
stessa che si trattava solo di un modo per far passare il tempo.
Intanto, a causa di quel mio
fantasioso divagare, avevo dimenticato la sensazione di incoerenza di poco
prima. Stavo proprio ridendo delle mie assurde considerazioni, quando dalla
piccola busta trasparente la donna estrasse un rosario.
La cosa mi sorprese
notevolmente e inizialmente non ne capii il motivo. Dopotutto moltissime
persone tengono al collo un rosario o un crocifisso. Eppure, nel gesto di mettere
al collo il sacro ornamento notai una certa ostentazione che si accentuò poco
dopo, quando la donna indossò un paio di grandi orecchini a forma di croce,
sempre provenienti dalla busta di plastica. Non si trattava semplicemente di
esibire i simboli del proprio credo religioso, la donna stava lanciando un
messaggio chiaro e forte a tutte le persone presenti. Lei era cristiana, assolutamente
devota, ed era felice perché aveva una certezza: la sua fede incrollabile le
avrebbe garantito il meglio della vita.
Non mi stupii di osservare
una nuova luce nei suoi occhi. Il viso mostrava ora un’espressione che
racchiudeva sollievo e soddisfazione. Potevo addirittura scorgere una punta di
orgoglio nella disinvoltura con cui adesso stava ripiegando la busta
trasparente per rimetterla nella borsa.
La misteriosa sensazione di
incoerenza di poco prima aveva dunque una spiegazione assai semplice.
La donna si trovava
effettivamente a disagio, ma non per un profondo conflitto interiore, bensì
perché si sentiva in qualche modo “nuda”, indifesa. Senza i simboli religiosi
che indossava tutti i giorni, aveva perso una parte importante della sua
identità. Forse per un attimo aveva persino dubitato della sua fede e questo
l’aveva fatta sentire perduta. Forse nel momento in cui il viso era nascosto
dai capelli aveva davvero versato una lacrima, ma non per un amore perduto. Più
probabilmente per il rimorso di aver dubitato anche un solo istante.
Così ora, carceriera di se
stessa, la donna si era nuovamente rifugiata tra le solide pareti della sua
salvifica devozione. Prigioniera di un’idea, ma finalmente felice.
L’altoparlante annunciò con
voce metallica la mia fermata: sorrisi educatamente e mi preparai a scendere.
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