«Le utopie appaiono oggi assai più realizzabili di quanto non si credesse un tempo. E noi ci troviamo attualmente davanti a una questione ben più angosciosa: come evitare la loro realizzazione definitiva? [...] Le utopie sono realizzabili. La vita marcia verso le utopie. E forse un secolo nuovo comincia; un secolo nel quale gli intellettuali e la classe colta penseranno ai mezzi d'evitare le utopie e di ritornare a una società non utopistica, meno "perfetta" e più libera.»[Nicola Berdiaeff – dall'epigrafe de Il Mondo Nuovo]
Brave New World (titolo originale del famoso romanzo
di Aldous Huxley) esce nel 1932, in un clima politico assai inquietante. In
Europa si stanno consolidando le ideologie militaresche dei diversi
totalitarismi, le nuove parole d'ordine sono “programma” e “organizzazione”. Si
tratta dunque di un mondo in pericolo, dove l'intervento massiccio dello Stato
nella vita privata e la massificazione generale della società minacciano la
conservazione dell'individualità.
Sono questi infatti gli oggetti della pungente critica
huxleyana, che si propone di rovesciare l'ordine della perfezione e del
benessere sociale a cui ammiccano i governi totalitari. Ne Il Mondo Nuovo,
Huxley capovolge l'utopia nella distopia utilizzando una satira irriverente. La
narrazione è limpida, tuttavia polemica, declamata, quasi favolistica: un
particolare tono di sfida si ritrova nella macchinosa construzione del
paradosso, nello smantellamento del buon senso e dei luoghi comuni.
Nel mondo di Huxley il calendario segue la numerazione dell'Anno di Ford, il fondatore dello Stato Mondiale perfetto, i cui principi sono: Comunità, Identità, Stabilità. In nome di questi valori, grazie ad uno sviluppo tecnologico senza precedenti, la società è stata suddivisa in classi sociali fisse, determinate dal corredo genetico. Le nascite infatti sono realizzate totalmente con metodi artificiali, si potrebbe dire “in serie”, e ad ogni categoria sono assegnate caratteristiche psico-fisiche che permettono di raggiungere un livello di benessere e felicità “appropriato”. Il condizionamento psicologico viene effettuato col sistema dell'ipnopedia, cioè l'insegnamento nel sonno condotto grazie a particolari apparecchi radio durante tutto il periodo dell'infanzia.
In questa realtà paradossale si sviluppa la storia di Bernardo Marx, appartenente alla prestigiosa classe Alfa Plus, ma dall'animo sovversivo. Accompagnato da Lenina Crowne, una donna perfettamente inquadrata nel sistema, il protagonista si reca nelle terre sconosciute dove incontra John il Selvaggio. Il giovane tenta di spiegare a Bernardo la necessità di recuperare la naturalità, di salvaguardare le tradizioni, di credere nella fede e nell'amore. Colpito dalla sua stravaganza e affascinato dalla possibilità di diventare famoso e venerato, Bernardo porta John nel Mondo Nuovo per mostrarlo alla Comunità come un fenomeno da circo. Tuttavia il ragazzo, incapace di adattarsi alla società alienante e tecnicizzata, si ritira in isolamento conducendo una vita da penitente. Infine, dopo una notte inconsapevole di danze orgiastiche, si toglie la vita sopraffatto dall'orrore per il proprio comportamento immorale. Questo racconto, in apparenza lineare, nasconde tematiche complesse. Analizzando il processo di trasformazione della moderna società industriale, Huxley individua i pericoli dell'efficientismo, della burocrazia, del consumismo, della quantificazione dei principi vitali. L'estraniazione dell'uomo dalla sua essenza biologica, sottolineata dal processo di fecondazione e nascita artificiale, è una forma di dissoluzione totale dell'individuo, una rottura del suo rapporto organico col mondo. Come modello da opporre a tale realtà disumanizzante, lo scrittore riprende il mito del buon selvaggio roussoiano, incarnato dallo sventurato John. Il Selvaggio rappresenta il recupero dell'aggressività istintuale, una calata nel mondo dell'inconscio; ciononostante non diventa un eroe, ma rimane una vittima del sistema, trasformato da figura utopica a simbolo distopico. La denuncia huxleyana non risparmia l'automatismo nel processo lavorativo, la razionalità produttivistica e l'omologazione forzata, alcuni dei grandi mali dell'età moderna che hanno portato alla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale.
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