lunedì 3 dicembre 2012

Più consapevolezza, meno consumo: non sottovalutiamo il valore del cibo

Il cibo, non solo come energia fondamentale della vita, ma anche (e soprattutto) come fattore di sviluppo sociale, non casualmente è stato quest'anno il filo conduttore della Conferenza Mondiale sul Futuro della Scienza, svoltasi a Venezia nel secondo weekend di settembre. [n.d.a. In realtà è stato l'argomento della IV Conferenza, svoltasi nel 2008. Ho dovuto attualizzare l'evento in quanto risultava più coerente per il tema in classe.)
Il Convegno, promosso dalla Fondazione Umberto Veronesi, ha visto alcuni fra i maggiori scienziati del mondo impegnati in un interessante dibattito sulle questioni più complesse relative all'alimentazione, dai rischi per la salute, al problema della denutrizione.
La discussione offre sicuramente numerosi punti di riflessione, ma rende anche chiaro quanto sia necessario e urgente un progetto di educazione alimentare su scala mondiale. Si riscontra infatti un doppio problema, solo apparentemente paradossale. Da una parte, in questi ultimi anni, è aumentato in modo esponenziale il numero dei bambini (e non solo) affetti da obesità nei paesi industrializzati. Dall'altra, secondo i dati FAO, più di un miliardo di persone si trova tutt'oggi in condizioni di malnutrizione e denutrizione nei paesi in via di sviluppo.
In realtà, la compresenza nel mondo di obesità e di morte per inedia non è qualcosa di incomprensibile perché l'una dipende dall'altra ed in particolare la mancanza di risorse vitali per le popolazioni più povere è causata dall'eccesso di consumi degli Stati "benestanti".
I Paesi sviluppati, Stati Uniti in primis, hanno applicato il modello consumistico - già sbagliato di per sé - al cibo e all'alimentazione, rendendolo una semplice merce. E' quanto sostiene Carlo Petrini, fondatore di Slow Food. Egli afferma infatti che «per quanto riguarda il cibo abbiamo ormai perso la percezione della differenza fra valore e prezzo: facciamo tutti molta attenzione a quanto costa, ma non al suo più profondo significato». L'organizzazione Slow Food, che già con il solo nome spiega la propria ideologia in netta opposizione al consumistico fast food, si propone di valorizzare la piccola produzione e la qualità dei prodotti locali delle singole regioni. Infatti, il consumo sfrenato alimenta anche trasporti lunghi e inquinanti, problema che si ricollega subito alla questione dello spreco e dei rifiuti. Ma non si tratta solo di una questione economica.
Sebbene non si possano eliminare la povertà e la denutrizione con le sole parole, si può - anzi si deve - promuovere un nuovo modo di approcciarsi al cibo. L'idea che deve essere trasmessa alle popolazioni degli Stati più ricchi è che "mangiando bene" e in un modo consapevole si possono migliorare le condizioni di vita di moltissime persone "meno fortunate".
Per incoraggiare questo modo di pensare potrebbe essere efficace focalizzare l'attenzione sui principi di un'alimentazione corretta. Tutti affermano di conoscere la cosiddetta piramide alimentare, ma pochi in effetti la rispettano. Secondo i dati di una ricerca della SIPREC (Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare) l'80% della popolazione italiana mangia ogni giorno pasta molto condita accompagnata dal pane, il 45% consuma formaggi più di tre volte alla settimana.
Ma nutrirsi in modo disorganizzato può essere molto rischioso per la salute, soprattutto se ad un'alimentazione inadeguata si unisce una vita sedentaria. E' così infatti che si sviluppano obesità e altri danni all'organismo legati ad essa. E i dati sono sempre più preoccupanti: un recente studio dell'Istituto Superiore di Sanità afferma che il 67% degli uomini e il 57% delle donne in Italia sono sovrappeso. «Chi mangia svolgendo altre attività» scrive inoltre Silvia Maglioni in un suo articolo su www.leonardo.it  «come ad esempio navigare in Internet, è più propenso ad esagerare e ha più voglia di dolci».
D'altro canto, anche la scelta dei prodotti di consumo occupa una posizione centrale nell'educazione alimentare. E' impressionante la diffusione dei ristoranti fast food e il loro successo sconsiderato in Italia, da secoli famosa per la sua cucina unica al mondo. Così come è sconvolgente sapere che il formaggio più venduto nel nostro Paese è il Philadelphia, prodotto negli Stati Uniti e ormai simbolo della globalizzazione per la sua esportazione in tutto il mondo.
Il problema del consumismo si unisce allora a quello della globalizzazione, che sta inesorabilmente cancellando il valore della diversità dell'unicità di ogni singola cultura. L'alimentazione di un popolo contiene un'incredibile quantità di informazioni relative alla sua religione, al suo folklore, all'economia... Per conoscere appieno una civiltà è fondamentale conoscere anche la sua tradizione culinaria.
Per questo, nel 2010, l'UNESCO ha definito la Dieta Mediterranea patrimonio culturale immateriale dell'Umanità. Si legge, nell'atto ufficiale: «La Dieta Mediterranea è molto più che un semplice alimento. Essa promuove l'interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità [...]».
Nonostante queste belle parole, qualcuno potrebbe obiettare che non sempre è facile salvaguardare i prodotti locali: essi sono costosi e spesso difficili da trovare. Anche la soluzione del biologico, decisamente caro, sembra essere ormai una semplice moda, piuttosto che un'ideologia.
Meglio mangiare «poco e bene» come afferma un altro motto di Slow Food, ed ecco che il ciclo si chiude e torniamo alla questione della differenza fra valore e prezzo. Dobbiamo renderci conto che  il risparmio non è effettivo se acquistiamo prodotti di assai bassa qualità.
Scegliendo invece di ridurre i consumi e di rivolgerci al meglio, la nostra alimentazione non sarà semplice "nutrizione", ma un'azione sociale e sostenibile. Il nostro benessere sarà anche quello degli altri.

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