domenica 15 agosto 2010

La dignità della morte

Mentre tutti sono in viaggio a godersi questa bella domenica di Ferragosto, io resto a casa a riposarmi, evitando luoghi affollati e caotici. Così ne approfitto per aggiornare un po' il blog.  ;-)
Il testo che vi propongo tratta la delicata questione dell'eutanasia.

La dignità della morte
Durante gli anni passati si è sentito parlare spesso dell’eutanasia, un argomento ormai “fuori moda”. Nomi come Eluana Englaro e Piergiorgio Welby, sulle bocche di tutti appena un anno e mezzo  fa, ora ci ricordano solo  una serie interminabile di ripetitivi servizi al telegiornale, terminati improvvisamente. Tuttavia le controversie sulla legittimità dell’eutanasia non sono state risolte: essa in Italia è ancora considerata un omicidio volontario, seppur con le attenuanti. Per affrontare questo difficile argomento è necessario chiarire cosa s’intende per “eutanasia”. Con questo termine, che letteralmente significa dolce morte, si indica l’azione del provocare intenzionalmente la morte di un individuo la cui vita sia compromessa in modo irreversibile e permanente da una malattia. Pertanto, è naturale chiedersi se questa pratica si possa considerare legalmente e moralmente corretta.
In primo luogo, tramite l’eutanasia è possibile porre fine ai dolori di un malato terminale. Non si parla solo di mali fisici, che a volte possono essere attenuati grazie a farmaci specifici, ma anche di sofferenze psicologiche causate dalla consapevolezza di essere un “peso” per altre persone. Alcune malattie degenerative, infatti, condannano il malato ad essere dipendente dall’aiuto di altri per le più semplici azioni quotidiane, come mangiare, andare in bagno o fare la doccia. Ciò intacca la dignità umana e di conseguenza l’autostima del malato, dunque non c’è da meravigliarsi se questi desidera la morte. Invece, nel caso in cui un paziente sia colpito da una malattia che gli permette di mantenere una discreta autonomia, un’alternativa migliore all’eutanasia è l’applicazione delle cure palliative. Con questa terapia, non necessariamente farmacologica, si permette al malato di vivere con serenità, senza accelerare, né ritardare la sua morte.
L’eutanasia inoltre potrebbe risparmiare dolori alle persone che si devono occupare del malato, come famigliari, amici e medici. Infatti, l’accudimento di un individuo infermo in modo permanente crea sia difficoltà, sia profonde sofferenze a coloro che gli stanno vicino, poiché non è possibile rimanere estranei al dolore di una persona, proprio come dice il professore Mario Palmaro (Istituto di filosofia del diritto Università degli Studi di Milano): “Vedere una persona che soffre terribilmente, senza una speranza di guarigione, mi risulta insopportabile”.
Detto questo, è fondamentale specificare che l’eutanasia non deve essere incoraggiata tramite pressioni psicologiche sul paziente con l’obbiettivo di ricavare vantaggi personali, per esempio l’ottenimento di un’eredità. Per quanto riguarda l’aspetto economico invece è bene riflettere sui costi sociali richiesti dal mantenimento in vita di un malato terminale. Mario Palmaro sostiene ancora che “la spesa sanitaria pubblica subisce per ogni paziente in media un’impennata negli ultimi tre anni di vita.” Dunque, molte di queste risorse potrebbero essere utilizzate per pazienti che hanno la possibilità di tornare attivi socialmente.
Certamente, la questione più difficile, su cui vertono i dibattiti sull’eutanasia, riguarda il consenso da parte del paziente all’applicazione di tale trattamento. Ogni persona dovrebbe essere libera di decidere per la propria vita, specialmente nel caso in cui si trovi in condizioni fisiche degradate che causano sofferenza e minano la sua dignità. Perché opporsi con tanta veemenza di fronte alla richiesta di morire da parte di un malato? La morte non è altro che un processo naturale che permette il proseguimento della vita e lo sviluppo di tutte le specie.
E’ vero anche che alcune dottrine religiose, ad esempio quella Cristiana Cattolica, molto diffusa in Italia, considerano la vita un dono sacro: nessuno può disporne a piacimento, neanche della propria. Queste religioni condannano l’eutanasia e incoraggiano a difendere fino all’ultimo la vita del malato terminale, perché esiste sempre una speranza di salvezza. Un’affermazione di questo genere non è accettabile razionalmente, almeno non oggi nel XXI secolo. Analisi ed esami effettuati con le più innovative tecnologie possono stabilire con certezza se un malato abbia la speranza di guarire, per questo motivo è inutile e crudele l’accanimento terapeutico contro una persona che aspetta solamente la fine dei suoi tormenti.
Diverso è il caso in cui il malato non sia in condizione di intendere e di volere. Qui la questione diventa molto più delicata poiché non si può rischiare di provocare la morte di un malato non consenziente all’eutanasia. Questo è il motivo principale per cui molti si oppongono a tale trattamento: essi vedono l’eutanasia come un omicidio, un reato gravissimo sia dal punto di vista legale, sia dal punto di vista morale.
In realtà non si può considerare l’eutanasia un omicidio vero e proprio, poiché il malato non ha speranza di guarigione e va incontro ad una morte forse lenta e più dolorosa. Per risolvere il problema del consenso esiste un metodo, già applicato in altri Paesi del mondo, ovvero la stesura di una dichiarazione anticipata di trattamento, meglio conosciuta come testamento biologico o living will (dall’inglese “volontà del vivente”). Si tratta di un documento con il quale una persona, in grado di intendere e di volere, dichiara la propria volontà riguardo a quali terapie intende o meno accettare, nel caso in cui venga colpita da una malattia irreversibile che la costringano a trattamenti artificiali permanenti. Purtroppo in Italia il testamento biologico non ha alcun valore giuridico, perciò è necessario che venga presto accettato dalla legislazione italiana; dopodiché le autorità dovrebbero impegnarsi a sensibilizzare la popolazione riguardo al problema, incoraggiando la scrittura di questo documento.
Concludendo, l’eutanasia dovrebbe essere accettata dalla popolazione e praticabile legalmente, purché venga applicata con responsabilità e giudizio.

1 commento:

  1. questo mondo: il nostro adesso in questo portogallo
    carina che piacere e che belle parole...
    sei molto sensibile, ti conosco un po...vero?!
    vivere con libertá
    le spiagie a peniche: Gamboa; Supertubos;( peniche) Baleal ( isola, vicino a peniche); e Almagreira (vicino a Baleal). ti ricordi?
    baci
    fa

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