mercoledì 6 ottobre 2010

Nel Medioevo, tra libri proibiti ed oscuri delitti

Il nome della rosa
Regia: Jean-Jacques Annaud
Anno di produzione: 1986

Un’isolata abbazia, una biblioteca impenetrabile, un libro proibito e cinque macabre morti che sembrano preannunciare l’avvento dell’Apocalisse. Sono questi gli ingredienti de Il nome della rosa, trasposizione cinematografica dell’omonimo e fortunatissimo romanzo di Umberto Eco. La trama del film non è del tutto fedele al libro, ma ciò si spiega con la frase che appare nei titoli di testa:“tratto dal palinsesto de Il nome della rosa”, con la quale il regista Jean-Jacques Annaud dichiara di aver solamente preso l’ispirazione dal romanzo, per creare una storia sua personale. In ogni caso, se l’opera di Eco si può definire un classico della letteratura post-moderna, del film si può certamente dire che sia ormai diventato un cult del cinema.
Anno del Signore 1327. La tranquillità di un’imponente abbazia benedettina del Nord Italia viene sconvolta dalla morte misteriosa di un giovane monaco. Chiamato ad indagare sull’inquietante scomparsa è il frate francescano Guglielmo da Baskerville (Sean Connery), un ex-inquisitore che si trova all’abbazia per fare da mediatore in un incontro diplomatico tra una delegazione pontificia e una delegazione imperiale. La disputa politico-religiosa sulla povertà della Chiesa, che viene affrontata approfonditamente nel romanzo, nel film rimane in secondo piano per dare più spazio all’intrigo noir, sicuramente molto apprezzato dal grande pubblico. Così la narrazione procede incalzante e alla prima morte ne seguono altre ancora più spaventose agli occhi dei monaci: il demonio sembra aggirarsi entro le mura dell’abbazia e i delitti (perché è chiaro che non si tratta di incidenti) sembrano seguire lo schema dell’Apocalisse di Giovanni.
Ad accompagnare l’acuto Guglielmo, una sorta di Sherlock Holmes medievale, vi è il giovane novizio Adso (Christian Slater), voce narrante della storia: egli racconta, ormai anziano e prossimo alla morte, l’esperienza dei giorni trascorsi all’abbazia. Quello che Umberto Eco è riuscito a trasmettere con le parole, Annaud lo trasmette con le immagini, perché ci rende partecipi della vicenda come lo è stato il ragazzo, servendosi del suo punto di vista. Adso, nonostante sia destinato a diventare monaco, rimane pur sempre un adolescente preda di mille dubbi e forti emozioni, così il film, rimanendo qui fedele al romanzo, acquista anche un carattere formativo con il quale coinvolge soprattutto gli spettatori più giovani.
La chiave dell’intera storia è un libro. Un libro proibito e pericoloso che tenta la sete di conoscenza dei monaci portandoli tragicamente alla morte. C’è qualcuno dietro ai drammatici eventi che colpiscono l’abbazia, qualcuno che custodisce gelosamente un segreto ed è disposto a uccidere per esso. Il segreto è ben protetto dalla “rosa” di cunicoli ingannevoli dell’immensa biblioteca che dà fama e prestigio all’abbazia, un labirinto che contiene tutto il sapere dell’umanità del tempo, migliaia di codici d’inestimabile valore. Ma sembra che il sapere debba rimanere nelle mani di pochi “iniziati”  perché i monaci non devono correre il rischio di rimanere affascinati dalle eresie pagane: così l’accesso alla biblioteca è severamente vietato a tutti, tranne al bibliotecario e al suo aiutante. Emerge dunque l’idea medievale di una cultura riservata a pochi e usata come strumento di potere. Inoltre, l’uomo medievale deve conoscere le scritture sacre e portarne avanti nel tempo una continua ricapitolazione, ma deve tenersi lontano dalle letture pagane che portano irrimediabilmente all’eresia.
A rendere più difficili le indagini di Guglielmo si aggiunge la figura di Bernardo Gui, che rappresenta la forma più terribile del potere della Chiesa in epoca medievale: la Santa Inquisizione. Bernardo Gui, informato dei fatti dell’abbazia, dimostra la sua “abilità” di inquisitore mandando al rogo tre persone estranee ai delitti. Annaud, allontanandosi dal romanzo, si sofferma molto su questo aspetto oscuro della Chiesa (l’ingiustizia verso i più deboli, le torture, i roghi delle streghe) forse per rendere più impressionante la sua pellicola, e così facendo commette un errore storico, in quanto l’azione dell’Inquisizione e la caccia alle streghe sono caratteristiche del periodo rinascimentale.
Nonostante ciò, se Annaud intendeva impressionare lo spettatore, ci è riuscito benissimo, soprattutto grazie all’uso delle immagini. Non mancano infatti scene cruente e momenti di grande suspense, che tengono sempre alta l’attenzione di chi guarda il film. Per quanto riguarda le immagini inoltre è curioso notare come le figure dei monaci siano tutte grottesche e spaventose, quasi a voler riprodurre le mostruose figure dei gargoyles scolpiti nelle cattedrali gotiche.
Davvero ben realizzato, dunque, Il nome della rosa: lo dimostra anche il fatto che Umberto Eco abbia acconsentito a lasciare il proprio nome come autore del testo ispiratore.
Il nome della rosa  è un film coinvolgente dall’inizio alla fine, una storia che inquieta, commuove, fa sorridere e riflettere. Un film da vedere.

3 commenti:

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    mmm... non male

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  2. Prima o poi riuscirò a sistemare le emoticon...

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