Spesso ci si è interrogati sulla natura di fondo dell'uomo, ipotizzando ora una intrinseca innocenza, ora una malvagità latente, o ancora un'inevitabile corruzione determinata dall'ambiente sociale. Numerosi illustri filosofi (Hobbes, Locke, Rousseau, Cartesio... per citarne alcuni) hanno sviluppato una propria teoria relativamente a tale questione, ma come per tutti i grandi temi della filosofia, nessuno è riuscito (e probabilmente nessuno riuscirà mai) a trovare una soluzione certa.
La narrativa distopica, in generale, compie un'analisi piuttosto pessimistica del comportamento umano. Due capolavori della letteratura moderna che si inseriscono in questo contesto sono Il signore delle mosche di William Golding (1954) e Arancia Meccanica di Anthony Burgess (1969), i quali possono essere messi a confronto ed analizzati su piani paralleli. Questi romanzi trattano essenzialmente dell'origine del male nella natura umana, dell'importanza del libero arbitrio e della degenerazione delle strutture sociali. I protagonisti sono bambini e adolescenti, tradizionalmente accomunati ad un'idea di innocenza e bontà, ma qui trasformati nell'emblema della crudeltà più irrazionale ed immotivata. Non manca inoltre un'aspra critica alle istituzioni politiche: dalla debolezza degli organi democratici all'opportunismo di alcuni movimenti rivoluzionari, dal fascino morboso per i sistemi autoritari alla spregiudicatezza dei governi che cercano di mantenere il consenso. Ma vediamo ora nel dettaglio i temi affrontati da questi inquietanti romanzi.

«In mezzo a loro, col corpo sudicio,
i capelli sulla fronte e il naso da pulire, Ralph piangeva per la fine
dell'innocenza, la durezza del cuore umano, e la caduta nel vuoto del vero
amico, l'amico saggio chiamato Piggy. L'ufficiale, davanti a quella scena, era
commosso e un po' imbarazzato. Si voltò dall'altra parte, per dar tempo ai
ragazzi di riprendersi, e aspettò, posando gli occhi sul bell'incrociatore
lontano.»

“Devo forse essere soltanto un'arancia meccanica?” è ciò che Alex, il protagonista del più conosciuto romanzo di Anthony Burgess, grida ai suoi torturatori e al mondo intero appellandosi al diritto di libera scelta che gli è stato crudelmente sottratto. Delinquente per il gusto di esserlo, assuefatto all'ultraviolenza, il quindicenne Alex è un eroe in negativo in un mondo che ha abbandonato ogni valore e ogni ideale. Egli finisce per essere vittima di un governo che in nome della sicurezza riduce gli esseri umani a creature meccaniche e prive di libero arbitrio: é la Terapia Ludovico, un condizionamento psico-fisico che provoca una repulsione fisiologica a qualsiasi tipo di violenza. Ma la scelta? Si domanda il salmiere della prigione dove Alex viene in un primo tempo rinchiuso: «In realtà lui non ha scelta, vero? Era il proprio interesse, la paura del dolore fisico che lo hanno spinto a quel grottesco gesto di autoavvilimento. La sua insincerità era fin troppo evidente. Cessa di essere un malfattore, ma cessa anche di essere una creatura capace di scelta morale» In queste parole si riassume il messaggio dell'autore, che scrive inoltre, a proposito della sua opera: «Imponete ad un individuo la possibilità di essere solo e soltanto buono, e ucciderete la sua anima in nome del bene presunto della stabilità sociale. […] È preferibile un mondo di violenza assunta scientemente – scelta come atto volontario – a un mondo condizionato, programmato per essere buono e inoffensivo».
I riferimenti ad Orwell e Huxley sono chiari: una società indifferente e disinteressata, un uso spregiudicato della tecnologia, una realtà totalizzante a cui bisogna conformarsi. Tuttavia, non meno importante risulta la vicenda personale di Alex, il quale affronta una sorta di percorso di formazione. Egli, come afferma l'autore stesso, «è veramente malvagio, forse ad un livello inconcepibile […] Però la sua cattiveria è umana. […] Alex rappresenta l'umanità in tre modi: è aggressivo, ama la bellezza, si serve del linguaggio». Ciò che lo caratterizza come anti-eroe è la sua estrema lucidità. Egli sceglie consapevolmente il male, ma alla fine del romanzo sente la necessità del cambiamento. Non sappiamo se ciò sia dovuto ad una svolta verso una vita morale, o sia semplicemente determinato dall'istinto naturale di voler creare una famiglia. E' certo però che Alex dimostra una visione disincantata e quasi profetica della vita: essere giovani è come essere piccoli giocattoli di latta che vanno a sbattere contro le cose e non ne possono fare a meno. I giovani devono passare attraverso questa fase e i genitori non possono fermarli; a loro volta, quando saranno genitori non potranno fermare i propri figli e così sarà fino alla fine dei tempi.
Dal romanzo è stato tratto l'omonimo film diretto da Stanley Kubrick. Tale adattamento per il grande shermo è ormai diventato un cult della narrativa cinematografica.
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