ATTENZIONE: Quella che segue non è propriamente una recensione del romanzo Non Lasciarmi di Kazuo Ishiguro, ma piuttosto un commento, perciò contiente SPOILERS.
Se non avete letto questo romanzo meraviglioso, lasciate perdere il post e affrettatevi a leggere il libro perchè merita veramente (e ovviamente dopo tornate qui a leggere quello che ho scritto! :P).
Se non avete letto questo romanzo meraviglioso, lasciate perdere il post e affrettatevi a leggere il libro perchè merita veramente (e ovviamente dopo tornate qui a leggere quello che ho scritto! :P).
Immaginate di avere dodici o tredici anni e di vivere in un
collegio magnifico e isolato, immerso nelle colline inglesi. Per quel che ricordate,
avete sempre vissuto lì insieme ad altre decine di ragazzi più o meno giovani
di voi, costantemente sorvegliati da alcuni “tutori” che vi insegnano tutto ciò
che dovete sapere. Vi ripetono sempre che dovete stare molto attenti alla
vostra salute, che dovete comportarvi in modo dignitoso e che dovete sforzarvi
di essere creativi. Naturalmente nel corso della vostra infanzia avete stretto
una profonda amicizia con alcuni compagni e avete sviluppato simpatie ed
antipatie verso i tutori.
Insomma, fin qui la vostra vita, come quella di Kathy, Ruth
e Tommy, può sembrare una vita tipica di un orfano relativamente fortunato. Ma
questi tre studenti di Hailsham,
protagonisti del commovente romanzo di Kazuo Ishiguro, Non Lasciarmi, non hanno nulla a che vedere con gli orfani.
E’ Kathy, ormai adulta, a narrare ai lettori la sua vita,
quasi come si stesse confidando con una persona conosciuta e fidata. I primi
episodi che ci racconta – il suo primo incontro con Ruth, il carattere
difficile di Tommy, lo strano comportamento dei tutori – sono caratterizzati da
un certo “disordine” cronologico, come se i ricordi più lontani della sua
infanzia cominciassero a diventare confusi e le fosse difficile organizzare
bene il pensiero; solo successivamente la storia diventa più lineare.
Kathy, Ruth e Tommy, come tutti i loro compagni di Hailsham,
sono destinati a diventare “assistenti” e “donatori”, sono stati creati per questo scopo e ne sono
consapevoli. Sanno anche che è molto importante riuscire a realizzare bei
disegni e belle poesie, perché queste loro opere possano trovare posto nella
misteriosa Galleria di Madame. Per loro tutto questo è normale e la loro vita
non sembra diversa da quella di qualunque altro adolescente: le amicizie
infantili si evolvono in sentimenti più profondi, a grandi gioie si alternano
momenti di sconforto, i rapporti sono fragili e le emozioni forti. Ma,
inesorabile, si avvicina il momento di lasciare Hailsham e negli ultimi anni al
collegio si crea un’atmosfera di tensione fra gli studenti, i tutori infatti sembrano restii ad affrontare alcuni
argomenti, soprattutto riguardo al futuro dei ragazzi, a quello che li aspetterà
quando dovranno affrontare il “mondo fuori”.
La verità si scopre quasi per caso, come se fosse una cosa
ovvia e conosciuta fin dall’inizio della storia ed è forse proprio per questo
che ci colpisce in modo così violento: studente
non è altro che una parola più gentile per parlare di un clone, destinato in età adulta a donare i propri organi vitali. La crudeltà e l’assurdità di tutto
ciò ci sconvolge e, sebbene avessimo subito intuito la presenza di un segreto
inquietante dietro alla parola “donazione”, ci ritroviamo ora a considerare le
vite dei protagonisti sotto una luce completamente diversa.
Dopo aver trascorso ogni passo della vita di Kathy, Ruth e
Tommy e aver condiviso con loro tutte le gioie, le preoccupazioni, lo
sconforto, la rabbia e soprattutto l’amore, improvvisamente scopriamo che sono diversi da noi e non riusciamo a
capacitarci di come ciò sia possibile.
Bene, è proprio questa sensazione che vuole farci provare
Ishiguro, per farci riflettere su una domanda già affrontata molte volte dalla
filosofia – cosa rende tale un “essere umano”? – e per condannare attraverso la
metafora dei cloni, le discriminazioni sociali. Parallelamente a questo, lo
scrittore ci comunica una forte preoccupazione riguardo allo sviluppo tecnologico,
che potrebbe portare la scienza ad un carattere amorale e spregiudicato, se non
venisse adeguatamente controllato.
Nonostante questo quadro tetro della società, nel romanzo
chiusa e statica, sembra che una speranza ci sia: ciò che unisce tutti e supera
ogni barriera è l’amore, in tutte le sue forme.
Non è mai troppo tardi per amare.
Non è mai troppo tardi per amare.
A febbraio uscirà nelle sale italiane il film tratto da questo romanzo, diretto dal regista americano Mark Romanek.