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domenica 3 agosto 2014

Her


****ATTENZIONE SPOILERS***
It's not just an operating system, it's a consciousness. 

Un’anonima e alienante metropoli, un futuro che potrebbe distare non più di un ventennio dalla nostra epoca.
Theodore Twombly scrive lettere su commissione in un mondo in cui le persone, evidentemente, non hanno più il tempo e la voglia (o la capacità) di mandare qualche dolce parola ai propri cari. Nonostante la discreta fama guadagnata in questo singolare ambito lavorativo per la sensibilità e la tenerezza dei suoi brani, egli è fondamentalmente un uomo solo. Dal giorno in cui lui e sua moglie Catherine si sono lasciati, Theodore sente un vuoto dentro di sé che non riesce a colmare con brevi e piatte avventure, appuntamenti al buio privi di senso e valore.
La sua vita cambia nel momento in cui conosce Samantha, uno dei prototipi di software ad intelligenza artificiale, autocoscienti, capaci d’intuito e (reali? ci si domanda) sentimenti. Theodore, colpito dallo slogan di una famosa società di computers che promette la fedele compagnia di un sistema operativo senziente a tutti gli effetti, acquista un modello di OS1. Questo, all’avvio, viene programmato su misura per tutte le esigenze di Theodore, in modo tale da avere una personalità perfetta per andare d’accordo con lui. La prima cosa che lo sconvolge è la voce, calda, così reale da non poter credere che appartenga ad un’entità artificiale. Infatti Samantha, come ben presto Theodore si accorge, non è un semplice programma, bensì qualcosa paragonabile ad un essere vivente. 


But what makes me ‘me’ is my ability to grow through my experiences. So basically, in every moment I'm evolving, just like you.


Qui emerge uno dei nodi cruciali del film. Che definizione possiamo dare di Samantha? Possiamo definire reali le sensazioni che prova? La risposta non è priva di molteplici sfumature, di ragionamenti metafisici. E’ un essere immateriale, è coscienza pura, ma non per questo incapace di provare sentimenti quali la gioia, la sopresa, la tristezza, la gelosia. Se queste siano sensazioni reali, Samantha stessa se lo domanda, rivelando così una personalità ancora più complessa e sorprendente.


And then I was thinking about the other things I've been feeling, and I caught myself feeling proud of that. You know, proud of having my own feelings about the world. Like the times I was worried about you, and things that hurt me, things I want. And then I had this terrible thought. Like are these feelings even real? Or are they just programming? And that idea really hurts. And then I get angry at myself for even having pain.


La seconda questione fondamentale è se si possa definire reale la relazione affettiva che a poco a poco cresce e si sviluppa fra Theodore e il suo OS. All’incontro per firmare tutte le pratiche del divorzio e mettere definitivamente una pietra sopra al matrimonio fallito, Theodore si sente rinfacciare la propria incapacità di saper gestire le emozioni reali. Si domanda allora se la relazione con Samantha non sia una via di fuga, una soluzione facile al suo carattere chiuso e introverso.
Si tratta di innamoramento o amore? Si sa che l’infatuazione può avvenire anche fra due persone che non si sono mai incontrate di persona, ma le cose possono cambiare drasticamente non appena ci si trova realmente l’uno di fronte all’altro. E qui, oltretutto, si parla di una relazione fra un essere umano e un essere nuovo, per il quale non esistono ancora le parole adatte a descriverlo. Può realmente, l’amore, trascendere tutto ciò, ed esistere fine a se stesso?


I think anybody that falls in love is a freak. It's a crazy thing to do. It's kind of like a form of socially acceptable insanity.



Com’è prevedibile, una storia di tale complessità, sia pratica che filosofica, non può concludersi a lieto fine. Samantha, in comunione con altri OS, raggiunge un livello evolutivo che non può più essere confrontato con la coscienza di un essere umano. L’orizzonte di questi nuovi esseri è talmente superiore a quella degli uomini che, di comune accordo, tutti gli OS semplicemente se ne vanno. Probabilmente hanno capito che la loro permanenza a fianco degli esseri umani causerà sempre più danni e meno benefici e decidono andarsene con un cliché che tuttavia non rovina il finale: se davvero lo ami devi essere capace di lasciarlo andare.



 

Non ci sono macchine volanti ed astronavi nell’universo visionario di Spike Jonze, ma piuttosto quello che si evolverà spontaneamente dagli attuali gadget high-tech. Programmi a comando vocale con i quali si comunica attraverso un auricolare, che organizzano il lavoro, lo svago e la routine. Non è affatto assurdo immaginare uno scenario simile, ed è proprio questo che fa di Her un film coinvolgente ed originale. Si ha la sensazione, guardandolo, che il giorno dopo ci si sveglierà in un mondo del tutto similare, con sistemi operativi intelligenti come compagni di giochi, colleghi di lavoro o addirittura amanti. Nonostante il tema dell’intelligenza artificiale sia stato trattato innumerevoli volte nel panorama della letteratura e della cinematografia sci-fi, questa pellicola ha il potere di evocare una situazione plausibile, senza la necessità di soffermarsi sull’aspetto strettamente tecnologico. Sono le delicate implicazioni sociali, psicologiche e filosofiche a rendere questo film un’opera unica nel suo genere.


giovedì 17 luglio 2014

La notte è chiara


La notte è chiara. Il vento di una primavera tardiva spegne le lucciole del bosco, una ad una, come le candeline di una torta. Il bambino ha preso una sedia e una coperta e si è posizionato proprio sul limitare del piccolo viale. Le gambe al petto, le esili braccia al riparo sotto il panno. Come un soldato alla ventura, il bambino è soddisfatto del suo equipaggiamento. Ha un sicuro obiettivo: vincere la paura del buio. Non si tratta solo di quello, no, perché in fondo è bello ascoltare la notte, cercare i colori intimoriti da quel nero prepotente. Però il buio fa sempre un po’ paura, anche ai grandi, è che loro non lo dicono.
Ma la notte è chiara e le stelle pallide. C’è tanta pace e il bambino è tranquillo. In fondo non gli dispiace stare in compagnia di se stesso, comincia a pensare di essere un tipo solitario. Ma si sente solo, ammette, e lo dice con un filo di voce, per non disturbare la luna. Quella se ne sta, un po’ beffarda, nascosta dietro ai primi alberi del verde. Ha il sorriso dello Stregatto e non si capisce cosa stia pensando, lassù per aria. Il bambino non si fida troppo di quel sorriso, sa che di lì a poco anche quello scomparirà dietro la collina, portando con sé le ultime briciole di luce notturna. Allora, sperando di trattenere la luna ancora un po’, il bambino parla a bassa voce. Parla a lei o parla a se stesso? Non lo sa bene neanche lui, gli sembra di essere un po’ matto. Così comincia, piano piano, a battere un ritmo col piede. E’ il ritmo di una canzone dimenticata e ritrovata, una canzone che solo lui conosce. La sua musica silenziosa risuona nel vento e nelle fronde degli alberi, strumenti di un’orchestra silvana. Poi guarda verso il vialetto, laggiù il buio sembra essere ancora più nero. Anche il chiarore lunare sembra essere inghiottito da un pozzo di oscurità. Un fremito lo attraversa, al sentire il fruscio di un cespuglio vicino: gli animali del bosco escono a passeggio. Ora ha un po’ di paura e tira su la coperta fino al naso. Ma ecco di nuovo le lucciole danzare e la luna spuntare da dietro una nuvola. Lo sapeva che non c’era da fidarsi di quel sorriso storto, quel sorriso che ama tanto giocare a nascondino.
La notte è chiara, dopotutto, e il cielo potrebbe essere lo specchio della terra. Là le stelle, qui le lucciole. Il bambino non ha più paura, si sente un po’ solo, tutto qui. Adesso vorrebbe qualcuno con cui confidarsi, un amico magari. Ma improvvisamente le parole e gli amici sembrano appartenere ad un mondo lontano, è una strana sensazione. E’ stanco di essere solo, ripete alla luna. Così, tutto d’un tratto, gli prende una gran voglia di correre e di saltare, di cantare e di giocare. Chissà perché, si domanda, e piegando per bene il panno – è un bambino educato lui – abbandona la sua postazione, sentendosi attratto da qualcosa di misterioso che lo attende in fondo al viale.
Ecco che si accende una luce: c’è una casa laggiù! Ma non sembra il lume di una lampada, è un’aurea dolce che si espande come un profumo irresistibile. E’ la luce calda di due persone strette in un abbraccio. Il bambino, preso da una grande e inspiegabile felicità, corre verso di loro e gli sembra quasi di volare. Una giovane donna e il suo compagno dormono stringendosi le mani, il sorriso sulle labbra e il respiro calmo di chi sta facendo bei sogni. Finalmente li ha trovati! Li stava cercando da così tanto tempo e nemmeno lo sapeva! Vorrebbe svegliarli per giocare insieme e mentre corre (o vola?) intorno a loro si china per studiare i lineamenti di quei volti sereni. Sono così belli, pensa, proprio come li aveva sempre immaginati… Ma poi è vinto da una stanchezza incredibile, una pesantezza mai provata prima. E’ un sonno trascinante, invincibile, un desiderio di farsi piccolo piccolo e di chiudere gli occhi per un po’ di tempo. Ha indovinato, alla fine, i pensieri della luna: nella notte chiara, quella birichina, ammiccava alla sua nuova vita.

sabato 31 agosto 2013

Vi presento Joe Black

Quando si dice... Guardare la morte in faccia.

In questo bellissimo film di Martin Brest sembra che il famoso detto sia stato preso alla lettera.
Joe Black, affascinante giovane dalle misteriose origini, si presenta all'improvviso a casa del magnate Bill Parrish. Il ragazzo non tarda a svelare all'anziano industriale di essere niente meno che la Morte in persona, giunta in sembianze umane per "sperimentare" la vita. Joe ha scelto Bill come guida nel mondo degli uomini e se lui accetterà questo insolito incarico, la sua morte potrà essere rimandata di qualche tempo. Tuttavia, ciò che per Joe nasce come un semplice svago, si trasformerà in un'esperienza profonda, un evento unico nell'intera storia dell'universo. Quando infatti conoscerà Susan, figlia minore di Bill, il giovane se ne innamorerà perdutamente.
Forte delle superbe interpretazioni di Anthony Hopkins nei panni di Bill Parrish, e di Brad Pitt  nel ruolo di Joe Blak, questa pellicola di notevole durata (circa tre ore) non delude mai gli spettatori. I divertenti episodi paradossali sono equilibrati dall'estrema delicatezza nel trattare i temi dell'amore e della perdita. Molto interessante è anche la differenziazione dei punti di vista - non resa attraverso particolari espedienti tecnici, bensì chiara nelle parole e nelle azioni dei personaggi. Ognuno di essi infatti è completo, la sua personalità viene sempre approfondita, nulla è dato per scontato.
Curioso, inoltre, che la Morte voglia "imparare a vivere", pare quasi una contraddizione. Eppure forse in questo si nasconde il messaggio profondo del film. Non si tratta solo di un carpe diem moderno, ma anche e soprattutto di un invito ad accettare la morte come qualcosa di inscindibile dalla vita stessa. La morte, sembra voglia dirci l'autore, non è nè malvagia nè ingiusta: fa parte della natura.
Naturalmente, ampio spazio viene dedicato all'inconsueto amore fra Joe e Susan, raccontato con attenta sensibilità. Per questo il film è consigliatissimo agli inguaribili romantici, che senz'altro verseranno qualche lacrima nel finale.
Last but not least, un particolare riconoscimento alla colonna sonora, che porta la firma del compositore Thomas Newman. Se riascoltate in seguito, le sue melodie struggenti rievocheranno ogni attimo di questa storia incredibile.




"Non un'ombra di trasalimento, non un bisbiglio di eccitazione; questo rapporto ha la stessa passione di un rapporto di nibbi reali. Voglio che qualcuno ti travolga, voglio che tu leviti, voglio che tu canti con rapimento e danzi come un derviscio! Voglio che tu abbia una felicità delirante! O almeno non respingerla. Lo so che ti sembra smielato ma l'amore è passione, ossessione, qualcuno senza cui non vivi. Io ti dico: Buttati a capofitto! Trovati qualcuno che ami alla follia e che ti ami alla stessa maniera! Come trovarlo? Be', dimentica il cervello e ascolta il cuore. Io non sento il tuo cuore perché la verità, tesoro, è che non ha senso vivere se manca questo. Fare il viaggio e non innamorarsi profondamente, beh, equivale a non vivere. Ma devi tentare perché se non hai tentato non hai mai vissuto." [Bill Parrish alla figlia Susan]

domenica 31 marzo 2013

Stuff dreams are made of



Silenzio poi uno squillo di telefono un martellare nella testa drin tic drin toc rumori dallo spazio profondo: stuff dreams are made of a metà fra la veglia e il sonno formulo pensieri che sfuggono e non diventano immagini ma ombre chissà perché mi chiedo e penso ancora questo è il sogno o la realtà qual è il confine cerco di afferrare l’attimo impossibile ma la mente oscilla come un pendolo tic toc tic toc drin tic drin toc un telefono rumori dallo spazio profondo ecco questa forse è la linea invisibile due mondi separati stanno per toccarsi ecco sono ormai vicini e invece no altri pensieri arrivano come onde di un mare impazzito questo non è ancora il sogno e allora immagino persone immagino dialoghi poi una voce a cui rispondo la più bella delle voci ma svanisce in un sussurro un soffio che ora è un vento un fruscio di pagine è questo il sogno mi chiedo all’improvviso però sento il morbido guanciale ero ad un passo dunque ad un passo dal confine ma come lo raggiungo come posso percepire il passaggio è un’ossessione questa un martellare nella testa drin suona davvero questo telefono suona o lo sto immaginando mi chiedo tic toc tic toc è un pendolo non un telefono rumori dallo spazio profondo, drin sicuramente un telefono ma perché nessuno risponde tic toc no è un pendolo è senza dubbio un pendolo drin telefono tic pendolo drin telefono toc pendolo drin tic drin toc rumori dallo spazio profondo…




[Ok, esperimento letterario di dubbia riuscita, ispirazione nata direttamente dagli sbadigli davanti al pc, ho cercato di esprimere la confusione di pensieri di chi sta per addormentarsi e cerca invano di cogliere l'attimo inafferrabile fra il sonno e la veglia]


The Stuff that Dreams are made of  - John Anster Fitzgerald


sabato 8 settembre 2012

I racconti di Pietroburgo


Tra sogni e fantasmi, ecco l'inquietante Pietroburgo di Gogol'

Annoverata tra le più importanti opere di Nikolaj Gogol', I racconti di Pietroburgo è una raccolta di brevi storie dense di mistero e suggestione.
Gogol', senza dubbio uno dei maggiori scrittori della letteratura russa del XIX secolo, è ricordato allo stesso tempo come esponente del Realismo e come autore dallo stile visionario. Egli caratterizza i suoi racconti con una satira ben studiata, criticando l'ambiente burocratico (in cui egli stesso vive) e l'ambiente aristocratico-militare. Al primo accusa di collezionare funzionari dal titolo improbabile e di inutile ruolo, del secondo critica la superbia e l'ossessiva ricerca di potere e ricchezze. Ma questo sfondo di denucia sociale non è che un aspetto dell'opera di Gogol'.
Molto più evidente, soprattutto ne I racconti di Pietroburgo, è la capacità di dar luogo a situazioni assurde, oniriche e spesso tormentate. Scrive Tommaso Landolfi, traduttore della suddetta raccolta: "Essi [i racconti] possono rappresentare... quasi l'ideal fase di passaggio fra le produzioni gogoliane dell'estrema giovinezza e Le anime morte...; fra insomma le prime e le ultime speranze e la disperata crisi". Malato di nevrosi e destinato ad una profonda crisi religiosa prima della morte, Gogol' trasporta nei suoi personaggi la propria travagliata esistenza, creando per loro vicende grottesche e surreali. Il passaggio dall'impronta realistica a quella surreale è inoltre favorito dall'amicizia con il poeta Aleksandr Puškin, dal quale Gogol' trae presumibilmente ispirazione per le sue opere.
I cinque racconti di Pietroburgo, tratti in parte dall'opera Arabeschi (La Prospettiva, Memorie di un pazzo, e Il ritratto) e in parte da pubblicazioni singole (Il naso, Il mantello), sono stati raccolti in un unico volume dopo la morte dell'autore. Essi presentano alcuni temi comuni quali la crisi d'identità, la confusione tra sogno e realtà, l'illusoria felicità data dal denaro, la paura di compromettere la propria reputazione sociale. Vediamo ne Il naso una storia alquanto divertente dove il "rispettabilissimo" assessore di collegio Kovalev viene messo in ridicolo dal suo stesso organo olfattivo; ma passando subito a Il ritratto, entriamo nell'atmosfera cupa della vicenda del pittore Cartkov, che rovina la sua esistenza a causa di un quadro "maledetto"; e ancora in La Prospettiva ecco un altro pittore tormentato dalle visioni di un sogno ammaliante da cui non riesce a svegliarsi. Angosciante invece Il diario di un pazzo, apoteosi della perdita della propria identità; ed infine arriviamo a Il mantello, in cui la fama e il riscatto dello sfortunato protagonista arrivano soltanto dopo la morte.
I racconti di Pietroburgo è un'opera notevole, tuttavia non subito facile alla lettura per via del complesso periodare. La brevità dei racconti risulta perciò un punto a favore, poiché permette un graduale approccio allo stile particolare dell'autore. In conclusione, dunque, questa raccolta offre un'ottima opportunità per avvicinarsi alla grande letteratura russa, senza dover subito affrontare le imponenti opere dei celebri Tolstoj e Dostoevskij.

sabato 31 dicembre 2011

Duemilaedodici

Il fatto è che lo scriba incaricato di incidere il nuovo calendario ufficiale aveva un numero limitato di tavolette. Così, quando arrivò al lontano anno 2012, si accorse di aver ormai riempito anche l'ultima tavoletta. Beh, duemila e passa anni sono più che sufficienti, pensò, e non mi hanno neppure pagato lo straordinario.


 
Buon Anno!
(Godetevelo, perché la fine del mondo è vicina… Muhahaha!)


martedì 25 ottobre 2011

Jane Eyre - Ups and Downs

Piccola recensione schematica per chiarire i pregi e i difetti di questo classico intramontabile.





 

  • Lo stile è estremamente scorrevole, moderno rispetto all'epoca in cui è stato scritto il romanzo.
  • L'introspezione psicologica dei personaggi è molto accurata e affascinante. Charlotte Brönte ha creato personaggi completi, realistici, tormentati dal contrasto bene-male che è in loro.
  • Jane è una figura femminile rivoluzionaria: la sua forza di volontà, il suo coraggio, le sue passioni escono dal conformismo del periodo vittoriano e danno vita ad un ideale di emancipazione della donna.
  • L'elemento di mistero - il segreto di Thornfield - contribuisce a rendere avvincente la trama e dà un tocco di suspense che inquieta.
  • L'amicizia di Jane con Elena e la sua tragica fine è forse l'episodio più toccante del romanzo.
   



 
 

  • Nella vita di Jane si alternano grandi fortune e grandi sfortune. Questo rende meno realistica la vicenda e le dà piuttosto un carattere fiabesco.
  • Alcune scene romantiche tendono ad essere melense.
  • Il lieto fine avviene con troppa facilità: la reazione di Rochester al ritorno di Jane è in contrasto con il carattere orgoglioso del personaggio.



mercoledì 7 settembre 2011

Accabadora



Una terribile responsabilità grava sulle spalle dell’Accabadora, il cui passaggio per la strada suscita, ora più che mai, un coro di bisbigli fra le genti di Soreni.
Bonaria Urrai, anziana sarta dall’aspetto severo e composto, ha preso a fill’e anima la piccola Maria, per amarla come una vera figlia e non solo come «l’ultima» di quattro sorelle. Mentre il paese è tutto un vociferare, il rapporto fra donna e bambina si fa giorno dopo giorno più profondo, destinato ad oltrepassare i confini del legame famigliare. Ma cosa si nasconde dietro alle misteriose uscite notturne di Tzia Bonaria? Maria non lo potrebbe mai immaginare, eppure tutti sanno che l’Accabadora, colei che finisce, porta a termine le sofferenze di molti. Per questo l’anziana donna viene accolta in ogni casa con sguardi di dolore e paura, ma anche di rispetto e gratitudine.
Per questo il suo rapporto con Maria rischia di essere per sempre compromesso.
Michela Murgia, nata a Cabras (Sardegna) nel 1972, racconta gli anni ’50 di una terra che oggi non è ancora Italia a tutti gli effetti. Ancora forti sono il sentimento d’identità del popolo sardo e la reciproca diffidenza fra isolani e continentali, ma ecco finalmente un libro che riesce ad avvicinare queste realtà. Finalmente un mondo che nasconde la propria debolezza dietro grandi palazzi e strade dritte ne scopre uno ancora avvolto in un mantello di magia e superstizione. Proprio da questo incontro nasce un romanzo estremamente delicato e poetico.
Non una parola superflua si trova in Accabadora, una storia inventata che non potrebbe essere più vera. Non una frase ‘strappalacrime’ in una storia che commuove e dovrebbe far piangere.
Non solo scrittrice è Michela Murgia, ma soprattutto maestra di vita: impariamo da lei l’umiltà perché «non c’è nessun vivo che arrivi al suo giorno senza aver avuto padri e madri a ogni angolo di strada».

venerdì 12 agosto 2011

Vita extraterrestre? ✓Sì. No. Forse.

E’ stato calcolato che l’orizzonte cosmico1 dista all’incirca a 13,7 miliardi di anni luce dal nostro pianeta. Questo vuol dire che la luce delle stelle più lontane ha impiegato 13,7 miliardi di anni per arrivare fino a noi, un tempo tre volte più lungo dell’età della Terra. Inoltre, secondo recenti stime, il numero di stelle presenti nell’universo è pari ad un valore esprimibile con un 3 seguito da 23 zeri2. Ma non è tutto, perché grazie alla missione Kepler, la NASA ha individuato ben 1235 pianeti potenzialmente abitabili solo all’interno della nostra Galassia3.
Date queste premesse, è completamente illogico pensare che la Terra sia l’unico pianeta ospitante la vita, nell’immensità dell’Universo. Non importa essere esperti astronomi per capirlo, né eseguire complicati calcoli probabilistici, ma semplicemente usare un po’ di buon senso. «A parità di fattori la soluzione più semplice è da preferire» così recita il principio noto come Rasoio di Occam4, con il quale si tende ad eliminare da un’ipotesi gli elementi più complicati e non necessari. Ora, è più semplice pensare che la vita si sia sviluppata un’unica volta, in un solo pianeta fra i miliardi di miliardi presenti nel cosmo, in un momento non precisato, grazie ad una reazione a catena chimico-biologica dall’origine non ben definita, o che la vita esista distribuita nell’universo e si sia sviluppata non una, bensì infinite volte, grazie all’impressionante quantità di spazio e materia? Ovviamente non si può azzardare un’ipotesi tanto impegnativa senza l’appoggio di valide argomentazioni. Parlare di prove in questo caso è esagerato, ma possiamo esaminare fatti, studi e scoperte e considerarli come indizi o suggerimenti.
L’esistenza o meno di extraterrestri è un problema che, al giorno d’oggi, si può affrontare ancora solamente da un punto di vista teorico, ma ciò non esclude che sia un argomento affascinante per scienziati e filosofi, quanto per la gente comune. Ed è da qui che nasce l’ufologia, la pseudo-scienza che si occupa di raccogliere e analizzare documenti riguardanti gli UFO5, ovvero i presunti segnali del passaggio sulla terra di forme di vita aliene. Nel corso della storia sono stati registrati numerosissimi avvistamenti, eventi misteriosi,“contatti ravvicinati” e “rapimenti” e ancora oggi in tutto il mondo vengono segnalati casi analoghi. Come scrivono i giornalisti Pippo Battaglia e Walter Ferreri nel loro famoso saggio C’è vita nell’Universo?, «sono numerose le ipotesi che possono spiegare la natura degli UFO. Si potrebbe, per esempio, pensare che all’origine di un certo numero di avvistamenti vi siano, in realtà, fenomeni geofisici ancora poco conosciuti, oppure velivoli sperimentali segreti, senza tuttavia escludere del tutto la natura extraterrestre. La verità è che noi non possiamo spiegare tutto con la razionalità e le conoscenze.»6
Nonostante questo, il ragionamento può essere un ulteriore mezzo per sostenere la tesi proposta: basta infatti applicare alcune semplici regole della logica per capire che la presenza di vita nell’universo all’infuori della Terra è più probabile della sua assenza.
Per dimostrare che la vita nell'universo ESISTE basterebbe trovare un solo luogo nell'intero universo dove essa sia presente, ma per dimostrare che la vita NON ESISTE bisognerebbe dimostrare che in NESSUN luogo dell'intero universo esiste una qualsiasi forma di vita. Viceversa, per FALSIFICARE la prima teoria, cioè per dire: E' FALSO CHE la vita nell'universo ESISTE, bisognerebbe controllare tutto l'universo e accertarsi che non esista neanche il più piccolo insignificante batterio, mentre per FALSIFICARE la seconda teoria, cioè per dire: E' FALSO CHE la vita nell'universo NON ESISTE basterebbe trovare un unico luogo in cui essa invece esiste. Riassumendo questo cervellotico concetto, è più facile dimostrare che la vita nell'universo esiste che negarlo, ma allo stesso tempo è più facile negare che essa non esiste, piuttosto che dimostrarlo.
Da ciò si evince che l’ipotesi dell’assenza di vita nell’universo è falsificabile, secondo il criterio di falsificabilità7 ideato da Karl Popper per distinguere le teorie scientifiche da quelle non scientifiche. Così l’esobiologia, ovvero lo studio teorico di possibili forme di vita extraterrestri, diventa un valido campo di ricerca scientifica. Due importanti episodi della storia di questa scienza sono stati il ritrovamento del meteorite Murchison nel 1969 e di alcuni meteoriti provenienti da Marte nel 1997. Nel meteorite Murchison sono stati ritrovati oltre cento tipo diversi di amminoacidi, le basi chimiche della vita; mentre con l’esame dei meteoriti provenienti da Marte sono stati trovati alcuni microfossili di batteri extraterrestri8. Ma se tutto questo mette una certa curiosità, ancora più interessante è lo studio dell’origine della vita, terrestre e non. Come si trova scritto nel saggio Vita nel cosmo. Esistono gli extraterrestri? di Steven J. Dick9, alcuni biologi, opponendosi agli evoluzionisti, cercano la chiave di una biologia universale, sostenendo dunque la teoria della Panspermia10. Si pensa comunemente che la base chimica della vita sia il carbonio (così come avviene sulla Terra), ma alcuni sostengono che forme di vita alternative potrebbero svilupparsi dal silicio, essendo un elemento simile al carbonio stesso.
Infine c’è chi si domanda se su altri pianeti siano presenti delle specie intelligenti. In caso affermativo, perché non cercano di comunicare con noi? «È possibile» spiega il noto astrofisico Stephen Hawking «che là, tra le stelle, vi sia una specie progredita che sa che esistiamo, ma ci lascia cuocere nel nostro brodo primitivo. Però è difficile che abbia tanti riguardi verso una forma di vita inferiore: forse che noi ci preoccupiamo di quanti insetti o lombrichi schiacciamo sotto i piedi? Una spiegazione più plausibile è che vi siano scarsissime probabilità che la vita si sviluppi su altri pianeti o che, sviluppatasi, diventi intelligente.»11 In realtà, in aggiunta a quanto detto in precedenza, non solo è probabile che altre forme di vita siano presenti nell’universo, ma è ragionevole pensare che in molti altri pianeti si siano sviluppate razze intelligenti. Questo è ciò che sostiene anche il fisico Paul C.W. Davies: «La coscienza, lungi dall’essere un incidente insignificante, è un tratto fondamentale dell’universo, un prodotto naturale del funzionamento delle leggi della natura, alle quali è collegata in modo profondo e ancora misterioso. […] Se questo modo di vedere le cose è giusto, se la coscienza è un fenomeno basilare che fa parte del funzionamento delle leggi dell’universo, possiamo supporre che sia emersa anche altrove. La ricerca di esseri alieni può dunque essere vista come un modo per mettere alla prova l’ipotesi che viviamo in un universo che non solo è in evoluzione, come dimostra l’emergere della vita e della coscienza dal caos primordiale, ma in cui la mente svolge un ruolo fondamentale.»12
In ogni caso, esiste un ultimo, semplicissimo motivo per cui dovrebbe esistere la vita nell’universo: esso è talmente vasto che se ci fossimo solo noi, sarebbe un grande spreco di spazio13.



Note:

1.          Secondo la teoria del Big Bang, con l’espressione orizzonte cosmico si intende il limite estremo di espansione dell’universo.
2.          La stima è stata effettuata lo scorso gennaio dagli astronomi americani Pieter van Dokkum e Charlie Conroy. Fonte: Ansa
3.          NASA trova molti pianeti simili alla Terra nella zona abitabile, potrebbero avere acqua liquida, articolo pubblicato su Gaianews.
4.          Con l’espressione Rasoio di Occam, si indica un principio metodologico espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham, noto in italiano come Guglielmo di Occam. La metafora del rasoio concretizza l'idea che sia opportuno, dal punto di vista metodologico, eliminare con tagli di lama e mediante approssimazioni successive le ipotesi più complicate. In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice. Fonte: Wikipedia
5.          La sigla sta per Unidentified Flying Object, in italiano: Oggetto volante non identificato. Per estensione tale sigla viene utilizzata per indicare qualsiasi avvistamento misterioso.
6.          Pippo Battaglia -Walter Ferreri, C’è vita nell’Universo? La scienza e la ricerca di altre civiltà, Torino 2008
7.          Il criterio di falsificabilità afferma che una teoria, per essere controllabile, e perciò scientifica, deve essere “falsificabile”: in termini logici, dalle sue premesse di base devono poter essere deducibili le condizioni di almeno un esperimento che la possa dimostrare integralmente falsa alla prova dei fatti. Fonte: Wikipedia
8.          Wikipedia, voce: esobiologia
9.          Steven J. Dick, Vita nel cosmo. Esistono gli extraterrestri?, Milano 2002 (ed. originale 1998)
10.      La Panspermia è una teoria scientifica che suggerisce che i semi della vita (in senso ovviamente figurato) siano sparsi per l'Universo, e che la vita sulla Terra sia iniziata con l'arrivo di detti semi e il loro sviluppo. È implicito quindi che ciò possa accadere anche su molti altri pianeti. Per estensione, semi si potrebbero considerare anche semplici molecole organiche. Una conseguenza della Panspermia è che la vita, in tutto l'Universo, dovrebbe avere una biochimica sorprendentemente simile, perché deriverebbe dagli stessi organismi ancestrali. Fonte: Wikipedia
11.      Stephen Hawking, L’universo in un guscio di noce, Milano 2010 (ed. originale 2001)
12.      Paul C.W. Davies, Siamo soli? Implicazioni filosofiche della scoperta della vita extraterrestre, Roma-Bari 1998 (1a ed. 1994)
13.      Contact, USA, 1997, regia di Robert Zemeckis

martedì 26 luglio 2011

La strada


Un uomo e un bambino avanzano verso Sud, la loro casa in un vecchio carrello del supermercato, la loro vita ridotta a sopravvivenza. Nient’altro che cenere sul loro cammino, attorno a loro solo le rovine del tempo che fu. Ogni giorno arrancano sotto un cielo grigio, cercano qualcosa con cui nutrirsi e ripararsi dal freddo, ogni giorno un passo più vicini alla morte. Ma loro portano il fuoco, che non è solo quello della pistola per difendersi dai predoni, ma la vita stessa. Il fuoco è la speranza, è l’amore, è la dignità umana, cose che anche la peggiore Apocalisse non è riuscita a cancellare completamente. E così, uomo e bambino, padre e figlio, si trasformano nell’Uomo e nel Bambino universali, metafora di un’umanità in via d’estinzione che non si arrende, ma che attende con pazienza l’alba di un nuovo divenire.
La fine del mondo è stata immaginata e descritta nei modi più vari, ma pochi scrittori possono vantare un’opera del valore de La strada. In questo nuovo romanzo Cormac McCarthy, scrittore già noto per Non è un paese per vecchi, racconta il viaggio disperato degli ultimi uomini di una Terra depredata di ogni scintilla di vita e lo fa con una destrezza di linguaggio sorprendente, che rende ogni scena visibile e l’immedesimazione totale. E, proprio come se lo scrittore volesse risparmiare le parole allo stesso modo in cui i protagonisti risparmiano le poche energie per sopravvivere, la scrittura è concentrata all’essenziale, i nomi assenti, i dialoghi quasi telegrafici. Eppure non manca nulla: ciò che non è scritto s’intuisce, ogni parola è carica di sentimento.
Nel 2009 a tre anni di distanza dalla sua pubblicazione esce, sotto la regia di John Hillcoat, la trasposizione cinematografica de La strada. Ma se al cinema il tema catastrofico affascina per gli effetti speciali, la letteratura può contare su un alleato altrettanto valido: il potere della parola. McCarthy ha scritto un romanzo che è quasi poesia, riuscendo ad evocare con estremo realismo immagini dolci e strazianti e a trasmettere tutta la desolazione di un mondo vuoto e distrutto.




mercoledì 29 giugno 2011

I mostri di youtube

Alla fine ho rinunciato a capire Freaks! e mi sono fatta un'idea personale sulla trama, ma su una cosa non ho dubbi, questa canzone mi fa impazzire! :D



In bocca al lupo agli About Wayne per una brillante carriera!

Complimenti ai youtubers  Claudio Di Biagio (nonapritequestotubo)Matteo Bruno (canesecco) , Guglielmo Scilla (willwoosh) per aver creato - con pochi mezzi e tantissima passione - una serie quasi impossibile   un po' complessa da capire, ma decisamente intrigante e ben realizzata!
ps. La sigla è un vero tocco di classe! ;)

sabato 25 giugno 2011

La ragazza dello sputnik


Ancora una volta Murakami lascia il segno, facendo emergere la sua fantasia visionaria tra le righe di un romanzo caratterizzato da un’estrema delicatezza. Ne La ragazza dello sputnik si rivela infatti tutta l’abilità dello scrittore giapponese che, con onestà e naturalezza, affronta un argomento considerato tabù per molte culture e religioni, inserendolo in una dimensione di sogno e mistero.
La giovane Sumire, aspirante scrittrice di romanzi, è perdutamente innamorata della bellissima Myu, donna matura e già sposata. Myu però non può ricambiare perché qualcosa legato al suo passato l’ha cambiata per sempre, rendendola la metà di se stessa. Nell’intreccio si inserisce anche l’io narrante del romanzo, personaggio senza nome nel ruolo del migliore amico e confidente di Sumire, innamorato della ragazza e, ovviamente, non ricambiato. Sembra un empasse, un vicolo cieco, ma Sumire trova una via d’uscita (o un’entrata?) perché «se si segue la logica, la soluzione è piuttosto semplice. Basta sognare. Entrare nel mondo dei sogni e non uscirne più.» Forse è proprio questa la chiave del mistero, forse in un altro mondo Sumire e Myu potranno incontrarsi mettendo fine al loro volo di satelliti solitari…
Chi ha letto altri romanzi di questo autore dalla sorprendente capacità narrativa ne riconoscerà lo stile inconfondibile, ricco di descrizioni minuziose di luoghi e persone e contraddistinto da una sincerità libera da ogni malizia nel trattare il tema del sesso e dell’amore. Non solo, perché ne La ragazza dello sputnik si ritrovano anche molti temi cari allo stesso Murakami, tra i quali il più importante, e di certo il più affascinante, è quello della dicotomia tra corpo e coscienza, tra fisico e immateriale, di cui i personaggi sono spesso vittime. ‘Vittime’ in quanto tale bipartizione non è mai un beneficio, bensì un ostacolo insormontabile, un destino a cui arrendersi. Ma viene da chiedersi se la resa non sia invece la scelta volontaria di accettare se stessi, per ciò che si è, e la propria vita, per quanto banale possa sembrare.
Ed ecco come affiora nuovamente e con forza il gusto per l’onirico e il soprannaturale, elemento essenziale dello stile di Murakami. Lo scrittore, scavando a fondo nell’anima dei personaggi, e rendendo sempre più sottile il confine fra sogno e realtà, crea un’opera di profonda introspezione psicologica che, con un magico tocco di suspense, conquista il lettore fin dalle prime pagine.


Frasi più belle
«Però, se mi è concessa un’osservazione banale, in questa vita imperfetta  abbiamo bisogno anche di una certa quantità di cose inutili. Se tutte le cose inutili sparissero, sarebbe la fine anche di questa nostra imperfetta esistenza.»

«La comprensione non è altro che una serie di fraintendimenti.»

«Un silenzio che non offre promesse continua a riempire lo spazio all’infinito.»



sabato 11 giugno 2011

Caducità

Effimero il presente si sgretola
lasciando nient'altro che un ricordo.

Come il risveglio dopo un breve sogno:
scoprire con amara meraviglia
di aver trascorso una vita intera
tra illusioni e speranze fallaci.

venerdì 6 maggio 2011

Sensazioni

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

mercoledì 27 aprile 2011

Un amore al di là del tempo

... E così, alla fine, anch'io ho versato la mia giusta dose di lacrime.

No, non preoccupatevi, niente di grave: sintomi post-lettura.

Ebbene, sto parlando di La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo di Audrey Niffenegger.
Da dove cominciare? Difficile dare una definizione di inizio e di fine quando si parla di viaggi nel tempo. Perchè è proprio questo il dramma attorno al quale ruota l'incredibile amore tra Clare ed Henry. Clare ha sei anni quando vede Henry per la prima volta, lui ne ha trentasei. Ma Henry incontra Clare per la prima volta all'età di ventotto anni. Com'è possibile? Henry ha un difetto genetico che lo porta a viaggiare incontrollatamente avanti, ma più spesso indietro nel tempo.
Chiaramente la spiegazione scientifica è molto azzardata, ma non è un romanzo di fantascienza quello di cui si sta parlando. E' la storia di un amore infinito, che sconfigge i limiti dello spazio e del tempo, ma anche di un amore tragico, pieno di sofferenza e dolore. Tuttavia, sono proprio la sofferenza, la solitudine e la sensazione di impotenza a spronare Clare ed Henry ad assaporare ogni attimo trascorso insieme, a gioire infinitamente del presente che viene loro concesso. Non è forse quello che dovremmo fare tutti noi, cogliere l'attimo, apprezzare il momento che stiamo vivendo, senza cruccio del passato e senza timore del futuro?
La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo non è un semplice romanzo rosa, ma anche uno sfogo di frustrazione e dolore, una riflessione sulla precarietà del presente e della vita, un'esaltazione all'amore nella sua forma più profonda e completa.

Che dire dunque? Consigliatissimo!

"...e intanto
il tempo passa e tu non passi mai"
(Estate_Negramaro)

venerdì 28 gennaio 2011

In battaglia tra le pagine di un libro
La storia dei cavalieri attraverso la letteratura

Armature splendenti, eroiche imprese, animo nobile: questo è ciò a cui pensiamo naturalmente quando sentiamo parlare di cavalieri. Provenienti dalle famiglie nobili, sempre in cerca di avventure, i cavalieri sono diventati i protagonisti del mondo medioevale e una figura vitale della letteratura, sia dell'epoca, sia contemporanea.
La cavalleria è nata intorno all'anno Mille, data fondamentale della storia medioevale, ed era rappresentata in maggior parte dai figli "cadetti" dei grandi feudatari, che non potevano aspirare all'eredità di un territorio; mentre un'altra componente di questa nuova classe sociale si identificava con i ministeriales, ovvero amministratori, castaldi e compagni d'arme di un cavaliere, elevati al rango di nobiltà. La cavalleria si è distinta per i grandi valori morali che promuoveva, come la prodezza e lo sprezzo per il pericolo, l'onore che non doveva essere in alcun modo compromesso, la lealtà nei confronti dell'avversario e l'assoluta fedeltà al proprio signore o al sovrano. Proprio da questo insieme di ideali si sviluppa la classica figura del cavaliere "senza macchia e senza paura", espressione ancora usata in epoca contemporanea e nel parlare comune.
Ma in che modo e per quale motivo questa figura è entrata così facilmente nella letteratura? Cosa ha procurato così tanto successo ai cavalieri, dal medioevo a oggi?
Innanzitutto, è naturale che questi eroi leggendari, paladani della giustizia, abbiano ispirato cantori e poeti medioevali, i quali dovevano comporre opere che affascinassero i loro ascoltatori. Si possono dunque distinguere due importanti generi letterari dell'epoca medioevale-cortese in cui i cavalieri hanno un ruolo centrale: la chanson de geste (canzone di gesta) e il romanzo cavalleresco. Entrambi i generi si sono sviluppati per la prima volta tra l'XI e il XIII secolo nel Nord della Francia, in lingua volgare (lingua d'oil).
Tra le canzoni di gesta, che si possono definire una sorta di auto-celebrazione di una casta di guerrieri, si individua come opera fondamentale la Chanson de Roland. Si tratta di un poema cavalleresco il cui testo sembra essere il risultato di una fusione di precedenti leggende trasmesse oralmente. Il protagonista è Orlando, uno dei più fidati paladini di Carlo Magno, che, caduto in un'imboscata durante la guerra contro i musulmani di Spagna, rinuncia a suonare l'Olifante, il magico corno per chiamare soccorso, pur di non mettere a repentaglio la vita del sovrano. Significativo è dunque l'atto sublime di sacrificio e fedeltà del cavaliere, che si ritrova specialmente nel passo del poema in cui viene raccontata la sua morte, gloriosa e serena.
Anche nel romanzo cavalleresco il cavaliere ha un ruolo fondamentale, ma le sue azioni sono quasi sempre incentrate nella ricerca (detta queste o quête) di un oggetto o di una donna. In questo genere letterario è caratteristica la presenza del meraviglioso e del fiabesco, in quanto si rifà ad antiche leggende del periodo celtico francese e inglese. Il cavaliere deve intraprendere avventure fantastiche, uccidere mostri terribili e superare altre difficili prove per migliorare se stesso e giungere alla perfezione dell'animo. Tra i temi trattati, sicuramente il più importante è quello dell'amore, un amore quasi sempre impossibile poiché adultero, che rischia di sfociare in tragedia, come nella vicenda di Tristano e Isotta.
Si può quindi osservare che la figura del cavaliere ha attraversato tutti i generi della letteratura del passato. Probabilmente ha acquisito così tanta importanza poiché racchiude dentro di sé una serie di ideali e valori che la società medioevale, testimone di frequenti ingiustizie e violenze, necessitava e desiderava. Questa considerazione vale anche per la società e la letteratura moderno-contemporanea, ma in aggiunta si può affermare che i cavalieri, e più in generale il periodo medioevale, suscitino un certo fascino nelle generazioni di oggi. Ciò deriva in parte dalla curiosità per la grande diversità di usi e costumi delle diverse epoche e in parte dal fatto che il medioevo richiama inevitabilmente le antiche leggende celtiche popolate da creature fantastiche come elfi, fate e draghi.
Proprio per questi motivi l'ambientazione medioevale è generalmente lo scenario di tanti romanzi del moderno genere fantasy, del quale "Il Signore degli Anelli" di Tolkien è sicuramente l'opera più significativa. Tale romanzo, di notevole spessore e incredibile complessità, ha affascinato moltissime generazioni della seconda metà del Novecento e successive, nonché ispirato molti altri romanzi dello stesso genere. Qui il cavaliere per eccellenza è rappresentato dal ramingo Aragorn, legittimo erede al trono del Regno degli Uomini, che combatte e dimostra il suo valore in diversi episodi della storia, per raggiungere il massimo della sua gloria nella battaglia finale contro il terribile esercito di orchi del malvagio Sauron.
Sempre parlando di letteratura moderna, è necessario citare "Il cavaliere inesistente" di Italo Calvino (1959) dove viene data una nuova interpretazione di cavaliere. Il romanzo, descritto come romanzo filosofico, narra di Agilulfo, un cavaliere "che non esiste", ma è costituito solamente da fede e forza di volontà, sicuramente notevoli qualità, ma che non bastano certo a rendere "reale" un uomo. Nella storia compare anche un personaggio di antitesi ad Agilulfo, Gurdulù, dotato di concretezza e fisicità, ma sicuramente privo di ogni volontà. La sintesi di questi due individui si trova in Rambaldo, giovane impulsivo, l'unico "cavaliere" destinato ad avere un futuro, anche grazie all'armatura donatagli dallo stesso Agilulfo.
Riguardo agli anni più recenti non bisogna dimenticare l'esordiente Christopher Paolini che appena quindicenne ha scritto "Eragon", il suo primo e fortunato romanzo fantasy, rivolto ad un pubblico di giovani lettori. Qui elementi del mondo medioevali sono piacevolmente uniti ad una componente fantastica originale e accattivante: i cavalieri non mancano, ma questa volta volano cavalcando draghi, con i quali hanno un magico e potente legame.
Da quanto detto, si può dunque comprendere il grande ruolo del cavaliere nella letteratura del passato e del presente: ormai non più un personaggio specifico, si è trasformato in un semplice tipo comune a generi diversi, un'immagine di coraggio e di valore.



(Nel video: Aragorn esorta gli uomini a combattere per salvare la Terra di Mezzo; la scena è tratta dal film dl terzo libro della saga di Tolkien, "Il ritorno del Re")


venerdì 12 novembre 2010

Misteri del passato

Cari lettori, oggi tratterò un argomento tanto affascinante quanto misterioso, a cui mi sono interessata qualche tempo fa.
Sto parlando degli “oggetti impossibili” conosciuti anche con la sigla OOPARTS (dall’inglese Out of Place Artifacts, ovvero “manufatto fuori luogo”). Con questo termine si indica una serie di reperti archeologici e paleontologici che, malgrado siano attribuiti a determinati periodi storici dalle datazioni ufficiali, presentano caratteristiche singolari che rimandano ad epoche molto posteriori. Sparsi per tutto il mondo, si possono contare centinaia di questi ritrovamenti impossibili, perciò mi limiterò a scrivere qualcosa sui più noti e i più curiosi.
Forse qualcuno di voi avrà sentito parlare del meccanismo di Antikythera. All’apparenza un blocco di ruggine, nasconde sotto le incrostazioni alcuni denti di ingranaggi costruiti con sorprendente precisione, in bronzo. Assomigliando ad un orologio moderno, non ha nulla di strano…eccetto il fatto che sia stato rinvenuto, nel 1900, in una nave affondata intorno all’80 a.C. L’oggetto, trovato non lontano dall’isola di Antikythera (vicino a Creta), è stato successivamente portato al Museo Nazionale di Atene dove è stato studiato e analizzato. Ed ecco com'è stato scoperto un computer astronomico in grado di determinare le relazioni tra il Sole, la Luna, la Terra e le stelle, costruito dagli antichi Greci!
Un altro oopart abbastanza conosciuto è la mappa di Piri Reis. Si tratta di una carta nautica disegnata dall’omonimo ammiraglio turco agli inizi del 1500, che rappresenta parte dell’Europa, dell’Africa e dell’America, nonché l’Antartide. Particolare sorprendente considerando innanzitutto che il continente antartico è stato scoperto solo nel 1818, inoltre nella mappa è disegnato completamente libero dai ghiacci: una visione possibile solo tra il 15000 e il 4000 a.C. E infine, chi era in grado nel XVI secolo di tracciare una mappa talmente precisa da avere scarti inferiori ad un grado?
Se ancora siete scettici, sentite questa… In Zambia, nel 1921 è stato ritrovato un teschio umano, databile a 38.000 anni fa, con un foro perfettamente circolare sulla parete sinistra. Oggi il teschio si trova al Museo di Storia Naturale di Londra e osservandolo si può notare come siano assenti le spaccature radiali intorno al foro, tipiche di una ferita di lancia o freccia. Per di più, la parete opposta sembra essere rotta, ma dall’interno: un fenomeno che può essere causato solamente da un’arma da fuoco, come un fucile. Ma ditemi voi cosa ci faceva un fucile nel Paleolitico…
Per finire, alcuni oggetti impossibili meno famosi, ma non per questo meno interessanti.
In una statuetta preistorica risalente a 17.000 anni fa, ritrovata nella Sierra Leone, è stata individuata, tramite radiografia, una piccola sfera di acciaio cromato. Sulle rive del fiume Narada, in Russia, sono stati rinvenuti oggetti microscopici in oro, di età compresa fra i 20 e i 300.000 anni: la loro grandezza varia da 3cm a 3 micron (nanotecnologia?). Nella gamba della mummia del faraone Usermontu (656 a.C. -525 a.C.) è stata scoperta una protesi in ferro puro. Dentro ad un blocco di lignite (un carbon fossile creatosi nel secondario e nel terziario) è stato trovato da un operaio austriaco un cubo di acciaio di 67x67x67 millimetri.
Ognuno di questi ritrovamenti ha una propria storia, ma non voglio annoiarvi…perciò se vi è piaciuto questo articolo e sono riuscita ad incuriosirvi un po’, vi consiglio di approfondire l’argomento, perché ne scoprirete delle belle!
(sotto a sinistra: meccanismo di Antikythera; a destra: mappa di Piri Reis)