mercoledì 7 luglio 2010

Il momento di lasciarli andare

Le persone non sono ancora capaci di considerare i propri figli come persone autonome, tant’è vero che una madre continua a chiamare “bambino” anche il figlio quarantenne.
Credo sia naturale per un genitore “attaccarsi” molto al figlio, perché il legame affettivo è forte e intimo; tuttavia, come spiegano molte filosofie orientali, il vero amore deve essere privo di ogni forma di “attaccamento”: se si ama veramente qualcuno, si deve essere pronti a lasciarlo andare per la propria strada.
Questo è un concetto che molti genitori non comprendono pienamente, anche se lo ripetono spesso (forse più a sé stessi che agli altri) per dimostrare di essere saggi e per rassicurarsi. Ma quando si avvicina il momento di cominciare a dare indipendenza ai figli, adolescenti in cerca di svago o già adulti in cerca di un futuro, arrivano la paura del distacco e il senso di responsabilità nei loro confronti. Così si tende sempre di più a rinviare questo passo fatidico, tenendo i figli sempre sotto la propria ala protettiva, soddisfacendo ogni loro necessità, ma allo stesso tempo negando loro la possibilità di affrontare da soli il mondo esterno.
D’altro canto questa graduale separazione può essere faticosa e dolorosa anche per i figli. Questo dipende dal tipo di rapporto che instaurano con i genitori e soprattutto dal tipo di educazione che ricevono. Finché si è bambini è naturale avere bisogno dei genitori come supporto e ci si sente perduti senza la loro presenza. E’ nel corso dell’adolescenza che cresce il bisogno di indipendenza, tuttavia contrastato dalla necessità di sicurezza data dai genitori. Nella vita di un adolescente infatti ci sono momenti in cui non si sente più il bisogno di un sostegno e si vorrebbe vivere da soli, affrontare con coraggio ogni nuova esperienza. Però ci sono anche momenti in cui ci si sente ancora piccoli e indifesi e sembra di non poter fare a meno dell’aiuto del genitore.
Detto questo, i genitori dovrebbero capire (o almeno sforzarsi di capire) “quanto aiuto” devono dare ai figli, per non rischiare di trascurarli e, nello stesso tempo, di viziarli. In entrambi i casi il rapporto genitore-figlio non sarebbe sereno e i figli avrebbero difficoltà nel riconoscersi indipendenti.
I figli, come dice Khalil Gibran, sono “viventi frecce” e i genitori gli archi. Ciò significa che il futuro dell’intera specie è nelle loro mani e il compito dei genitori è semplicemente quello di prepararli nel miglior modo per affrontare le sfide che incontreranno nel corso della vita, lasciando loro anche il diritto di sbagliare. Trattenerli a sé forzatamente significherebbe negare loro la possibilità di migliorare le proprie capacità e per estensione di migliorare le capacità dell’intera specie umana.
Per quanto riguarda il rapporto genitore-figlio, la gente, soprattutto in Italia, non è ancora pronta a riconoscerlo come un qualcosa di ampio, legato al fluire dell’esistenza. Da una parte ciò è dovuto alle tradizioni del Paese derivate dalla cultura giudaico-cristiana, dall’altra a una società caratterizzata fino a qualche decennio fa da una mentalità patriarcale, dove il capo-famiglia era anche il “padrone” materiale della moglie e dei figli, che dovevano uniformarsi alle sue decisioni. Anche se la società sta cambiando, la mentalità rimane influenzata dall’antico pensiero.
Inoltre, si può capire come la gente non abbia la concezione del fluire della vita, dal semplice fatto che il parlare della morte sia un tabù. Tutti cercano di evitare per scaramanzia questo argomento e ciò dimostra la mancanza di una visione più ampia della vita: la maggior parte delle persone non capisce che la morte è necessaria alla continuità della vita stessa.
L’acquisizione di questa consapevolezza in Italia è rallentata anche dalle scarse possibilità di lavoro e quindi di autosufficienza dei giovani, che tendono, sempre più spesso, a rimanere nella famiglia dei genitori anche in età adulta; ciò è un freno all’evoluzione e al ricambio generazionale.

1 commento:

  1. molto profondo, niente da ridire, anche se troppo filosofico dal mio punto di vista

    RispondiElimina