domenica 3 agosto 2014

Her


****ATTENZIONE SPOILERS***
It's not just an operating system, it's a consciousness. 

Un’anonima e alienante metropoli, un futuro che potrebbe distare non più di un ventennio dalla nostra epoca.
Theodore Twombly scrive lettere su commissione in un mondo in cui le persone, evidentemente, non hanno più il tempo e la voglia (o la capacità) di mandare qualche dolce parola ai propri cari. Nonostante la discreta fama guadagnata in questo singolare ambito lavorativo per la sensibilità e la tenerezza dei suoi brani, egli è fondamentalmente un uomo solo. Dal giorno in cui lui e sua moglie Catherine si sono lasciati, Theodore sente un vuoto dentro di sé che non riesce a colmare con brevi e piatte avventure, appuntamenti al buio privi di senso e valore.
La sua vita cambia nel momento in cui conosce Samantha, uno dei prototipi di software ad intelligenza artificiale, autocoscienti, capaci d’intuito e (reali? ci si domanda) sentimenti. Theodore, colpito dallo slogan di una famosa società di computers che promette la fedele compagnia di un sistema operativo senziente a tutti gli effetti, acquista un modello di OS1. Questo, all’avvio, viene programmato su misura per tutte le esigenze di Theodore, in modo tale da avere una personalità perfetta per andare d’accordo con lui. La prima cosa che lo sconvolge è la voce, calda, così reale da non poter credere che appartenga ad un’entità artificiale. Infatti Samantha, come ben presto Theodore si accorge, non è un semplice programma, bensì qualcosa paragonabile ad un essere vivente. 


But what makes me ‘me’ is my ability to grow through my experiences. So basically, in every moment I'm evolving, just like you.


Qui emerge uno dei nodi cruciali del film. Che definizione possiamo dare di Samantha? Possiamo definire reali le sensazioni che prova? La risposta non è priva di molteplici sfumature, di ragionamenti metafisici. E’ un essere immateriale, è coscienza pura, ma non per questo incapace di provare sentimenti quali la gioia, la sopresa, la tristezza, la gelosia. Se queste siano sensazioni reali, Samantha stessa se lo domanda, rivelando così una personalità ancora più complessa e sorprendente.


And then I was thinking about the other things I've been feeling, and I caught myself feeling proud of that. You know, proud of having my own feelings about the world. Like the times I was worried about you, and things that hurt me, things I want. And then I had this terrible thought. Like are these feelings even real? Or are they just programming? And that idea really hurts. And then I get angry at myself for even having pain.


La seconda questione fondamentale è se si possa definire reale la relazione affettiva che a poco a poco cresce e si sviluppa fra Theodore e il suo OS. All’incontro per firmare tutte le pratiche del divorzio e mettere definitivamente una pietra sopra al matrimonio fallito, Theodore si sente rinfacciare la propria incapacità di saper gestire le emozioni reali. Si domanda allora se la relazione con Samantha non sia una via di fuga, una soluzione facile al suo carattere chiuso e introverso.
Si tratta di innamoramento o amore? Si sa che l’infatuazione può avvenire anche fra due persone che non si sono mai incontrate di persona, ma le cose possono cambiare drasticamente non appena ci si trova realmente l’uno di fronte all’altro. E qui, oltretutto, si parla di una relazione fra un essere umano e un essere nuovo, per il quale non esistono ancora le parole adatte a descriverlo. Può realmente, l’amore, trascendere tutto ciò, ed esistere fine a se stesso?


I think anybody that falls in love is a freak. It's a crazy thing to do. It's kind of like a form of socially acceptable insanity.



Com’è prevedibile, una storia di tale complessità, sia pratica che filosofica, non può concludersi a lieto fine. Samantha, in comunione con altri OS, raggiunge un livello evolutivo che non può più essere confrontato con la coscienza di un essere umano. L’orizzonte di questi nuovi esseri è talmente superiore a quella degli uomini che, di comune accordo, tutti gli OS semplicemente se ne vanno. Probabilmente hanno capito che la loro permanenza a fianco degli esseri umani causerà sempre più danni e meno benefici e decidono andarsene con un cliché che tuttavia non rovina il finale: se davvero lo ami devi essere capace di lasciarlo andare.



 

Non ci sono macchine volanti ed astronavi nell’universo visionario di Spike Jonze, ma piuttosto quello che si evolverà spontaneamente dagli attuali gadget high-tech. Programmi a comando vocale con i quali si comunica attraverso un auricolare, che organizzano il lavoro, lo svago e la routine. Non è affatto assurdo immaginare uno scenario simile, ed è proprio questo che fa di Her un film coinvolgente ed originale. Si ha la sensazione, guardandolo, che il giorno dopo ci si sveglierà in un mondo del tutto similare, con sistemi operativi intelligenti come compagni di giochi, colleghi di lavoro o addirittura amanti. Nonostante il tema dell’intelligenza artificiale sia stato trattato innumerevoli volte nel panorama della letteratura e della cinematografia sci-fi, questa pellicola ha il potere di evocare una situazione plausibile, senza la necessità di soffermarsi sull’aspetto strettamente tecnologico. Sono le delicate implicazioni sociali, psicologiche e filosofiche a rendere questo film un’opera unica nel suo genere.


lunedì 21 luglio 2014

Salta che ti passa!



[Articolo pubblicato sul Magazine dei 30 anni della mia scuola di danza - purtroppo non tutti capiranno i riferimenti a fatti e persone]

Come dice il detto: pochi ma buoni! Siamo un piccolo gruppo, ma la carica non manca. Ormai la lezione di Dance Body Toning del sabato pomeriggio è diventata un appuntamento immancabile della nostra settimana. Ammettiamolo, siamo rimasti tutti un po’ delusi quando Enrica ci ha detto che il corso di GAG non sarebbe stato rinnovato, già ci mancavano l’energia e l’allegria di Roberto! Eppure, come la fenice che rinasce più bella e forte, anche noi abbiamo fatto l’upgrade, buttandoci a scatola chiusa in questa nuova disciplina, con la sicurezza che l’esperienza e la professionalità di Roberto ci avrebbero proposto lezioni stimolanti e salutari.
Dance Body Toning, questa “ginnastica danzata” dal nome inglese un po’ altisonante, è una disciplina benefica per il corpo e lo spirito. Al primo impatto sconvolge non poco, ma anche chi prova per la prima volta, nonostante lo sgomento e il fiatone, non ne esce insoddisfatto. Ma non si tratta solo di tonificare i muscoli e acquisire resistenza, perché ogni lezione con Roberto è anche un’ottima medicina contro il malumore. Non mancano mai scherzi e battute: Roberto, con quell’aria ammiccante di sfida, esorta ognuno di noi a dare il massimo. E quando lo vediamo saltare e cantare in giro per la stanza ci domandiamo se per caso non abbia un paio di polmoni in più rispetto agli altri esseri umani…
Insomma, un’ora di Dance Body Toning è tempo speso più che bene. Un ottimo modo per dedicarsi al proprio benessere, con divertimento e fatica assicurati!

sabato 19 luglio 2014

Questioni di equilibrio



[Articolo pubblicato sul Magazine  dei 30 anni della mia scuola di danza]

Nella danza l’equilibrio è fondamentale e ci sono molti esercizi per migliorarlo, fino ad arrivare al punto di non sentirsi più “in bilico” sulla punta della scarpetta, bensì perfettamente in asse, pronti per girare e girare… Eppure a me capita molto più spesso di sentirmi in bilico e proprio adesso è uno di quei momenti. Solo che questa è la ricerca di un diverso tipo di equilibrio: sono in bilico fra l’emozione di raccontare l’avventura di una vita e la paura di riempire il foglio con un mucchio di banalità. Ecco, già “l’avventura di una vita” prende un tono troppo melodrammatico, ma credo non ci sia espressione migliore per farvi capire quanto la danza sia stata (e sia ancora!) parte integrante della mia vita. No, no, non continuerò con pensieri commoventi e frasi fatte: mi piace la franchezza nelle parole, per quanto possibile.
Il mio rapporto con la danza è qualcosa di molto concreto, non mi viene spontaneo associarlo al sogno o alla poesia, ma piuttosto ad un benessere famigliare, una felicità quotidiana. Quando dico “parte integrante” della mia vita, intendo che non potrei immaginare di aver vissuto in un modo diverso i quindici anni in cui la danza mi ha accompagnato. Sarebbe un po’ come pensare di essere nata e cresciuta in un’altra famiglia, in un altro posto. Se quel lontano giorno del 1999 non avessi fatto quel passettino dentro la palestra dove tante altre bambine indossavano graziosi vestitini e scarpette rosa, che ne sarebbe stato di tutti i bei momenti e le fantastiche persone che ho incontrato grazie alla danza? Ma, di nuovo, mi sto perdendo in sentimentalismi…
Ho parlato di concretezza: forse lascerò perplesse alcune persone per quello che sto per scrivere, soprattutto – immagino – per il fatto di non averlo mai detto chiaramente, prima d’ora. Ammetto che esprimermi a voce non è mai stato il mio forte e che tutt’ora, spesso, devo combattere contro un’incredibile timidezza. Per questo, col tempo, ho maturato la convinzione di essere molto più brava a mettere per iscritto quello che penso e sento. Così, ecco una buona occasione per chiarire le cose.
Già da diversi anni ho deciso che non avrei dedicato il mio futuro alla danza – o almeno – non nel senso di chi ne è innamorato al punto da farne una ragione di vita, una cosa che peraltro ammiro sconfinatamente. Tuttavia questo non diminuisce la mia passione nel praticare questa disciplina, che coltiverò fino a quando ne avrò la possibilità. Per me dunque la danza non rappresenta un sogno, bensì un’esperienza della quotidianità, che amo proprio per il suo essere assolutamente concreta. E non dimentichiamoci che la danza è arte e come tale è più concreta che mai, perché se non ci fosse qualcuno che fa arte e qualcuno che ammira l’arte, essa non avrebbe alcun significato. Ciò che conta per me, è quel qualcuno: in altre parole, le persone. Non c’è ambizione, competizione o invidia nella mia esperienza con la danza. C’è un desiderio di fare sempre qualche passo avanti, di imparare qualcosa di nuovo, di migliorare un po’ insomma. Ma tutto questo non avrebbe senso se non potessi condividerlo con nessuno. Quando ballo, la mia felicità sta nel sapere che sto ballando con persone a cui voglio bene e per persone a cui voglio bene, non mi serve altro.


Post scriptum
Se quelle che ho scritto siano banalità, lascio ai lettori la sentenza, ma forse si saranno chiesti perché abbia esordito con la parola ‘avventura’. Non era vita quotidiana di cui stavo parlando? Eh sì, ne abbiam passate delle belle negli anni! Ma questa è un’altra storia…

giovedì 17 luglio 2014

La notte è chiara


La notte è chiara. Il vento di una primavera tardiva spegne le lucciole del bosco, una ad una, come le candeline di una torta. Il bambino ha preso una sedia e una coperta e si è posizionato proprio sul limitare del piccolo viale. Le gambe al petto, le esili braccia al riparo sotto il panno. Come un soldato alla ventura, il bambino è soddisfatto del suo equipaggiamento. Ha un sicuro obiettivo: vincere la paura del buio. Non si tratta solo di quello, no, perché in fondo è bello ascoltare la notte, cercare i colori intimoriti da quel nero prepotente. Però il buio fa sempre un po’ paura, anche ai grandi, è che loro non lo dicono.
Ma la notte è chiara e le stelle pallide. C’è tanta pace e il bambino è tranquillo. In fondo non gli dispiace stare in compagnia di se stesso, comincia a pensare di essere un tipo solitario. Ma si sente solo, ammette, e lo dice con un filo di voce, per non disturbare la luna. Quella se ne sta, un po’ beffarda, nascosta dietro ai primi alberi del verde. Ha il sorriso dello Stregatto e non si capisce cosa stia pensando, lassù per aria. Il bambino non si fida troppo di quel sorriso, sa che di lì a poco anche quello scomparirà dietro la collina, portando con sé le ultime briciole di luce notturna. Allora, sperando di trattenere la luna ancora un po’, il bambino parla a bassa voce. Parla a lei o parla a se stesso? Non lo sa bene neanche lui, gli sembra di essere un po’ matto. Così comincia, piano piano, a battere un ritmo col piede. E’ il ritmo di una canzone dimenticata e ritrovata, una canzone che solo lui conosce. La sua musica silenziosa risuona nel vento e nelle fronde degli alberi, strumenti di un’orchestra silvana. Poi guarda verso il vialetto, laggiù il buio sembra essere ancora più nero. Anche il chiarore lunare sembra essere inghiottito da un pozzo di oscurità. Un fremito lo attraversa, al sentire il fruscio di un cespuglio vicino: gli animali del bosco escono a passeggio. Ora ha un po’ di paura e tira su la coperta fino al naso. Ma ecco di nuovo le lucciole danzare e la luna spuntare da dietro una nuvola. Lo sapeva che non c’era da fidarsi di quel sorriso storto, quel sorriso che ama tanto giocare a nascondino.
La notte è chiara, dopotutto, e il cielo potrebbe essere lo specchio della terra. Là le stelle, qui le lucciole. Il bambino non ha più paura, si sente un po’ solo, tutto qui. Adesso vorrebbe qualcuno con cui confidarsi, un amico magari. Ma improvvisamente le parole e gli amici sembrano appartenere ad un mondo lontano, è una strana sensazione. E’ stanco di essere solo, ripete alla luna. Così, tutto d’un tratto, gli prende una gran voglia di correre e di saltare, di cantare e di giocare. Chissà perché, si domanda, e piegando per bene il panno – è un bambino educato lui – abbandona la sua postazione, sentendosi attratto da qualcosa di misterioso che lo attende in fondo al viale.
Ecco che si accende una luce: c’è una casa laggiù! Ma non sembra il lume di una lampada, è un’aurea dolce che si espande come un profumo irresistibile. E’ la luce calda di due persone strette in un abbraccio. Il bambino, preso da una grande e inspiegabile felicità, corre verso di loro e gli sembra quasi di volare. Una giovane donna e il suo compagno dormono stringendosi le mani, il sorriso sulle labbra e il respiro calmo di chi sta facendo bei sogni. Finalmente li ha trovati! Li stava cercando da così tanto tempo e nemmeno lo sapeva! Vorrebbe svegliarli per giocare insieme e mentre corre (o vola?) intorno a loro si china per studiare i lineamenti di quei volti sereni. Sono così belli, pensa, proprio come li aveva sempre immaginati… Ma poi è vinto da una stanchezza incredibile, una pesantezza mai provata prima. E’ un sonno trascinante, invincibile, un desiderio di farsi piccolo piccolo e di chiudere gli occhi per un po’ di tempo. Ha indovinato, alla fine, i pensieri della luna: nella notte chiara, quella birichina, ammiccava alla sua nuova vita.

mercoledì 26 febbraio 2014

12 years a slave

"Io non voglio sopravvivere, io voglio vivere"

Sono pochi i film che veramente lasciano lo spettatore scosso e turbato per molto tempo dopo la visione. 12 anni schiavo è uno di questi. Da Steve McQueen, del resto, non ci si poteva aspettare una pellicola "leggera". Il regista, tuttavia, ha compiuto una notevole evoluzione di stile dal suo film immediatamente precedente, Shame (vedi recensione), realizzando un'opera di grande valore. Vincitore di un Golden Globe, due BAFTA e candidato a ben nove premi Oscar, nonché titolare di altre innumerevoli nominations, 12 anni schiavo è un film destinato a conservare un ruolo importante nella storia del cinema contemporaneo.
La trama si basa sulla storia vera di Solomon Northup, un afro-americano nato come uomo libero nel 1808, rapito e venduto come schiavo all'età di 33 anni, condizione in cui rimase per dodici anni. Dopo la sua liberazione scrisse l'autobiografia da cui il film prende il nome e per il resto della vita fu un attivo sostenitore dell'abolizionismo.
Eppure non si tratta solo di un'opera documentaristica. Questo film è una condanna alla crudeltà in tutte le sue forme, una condanna all'ingiustizia, ma anche e soprattutto all'indifferenza. Lunghe scene di violenza fisica e psicologica si riversano continuamente come acqua gelata sullo spettatore, in qualche modo "costretto a guardare", come nella sadica punizione del protagonista di Arancia Meccanica. Il regista insiste su queste scene, mettendo in risalto l'indifferenza dei personaggi che assistono alle manifestazioni di crudeltà senza battere ciglio. E, dalla posizione di semplici spettatori, si finisce quasi per identificarsi grottescamente con questi personaggi di colpevole immobilità.
Ma se non possiamo far nulla davanti ad uno schermo e non possiamo cambiare la Storia, abbiamo tuttavia la possibilità, per quanto nel nostro piccolo, di modellare il presente. Sembra essere questo il messaggio ultimo del film, cioé quello di ripudiare quell'indifferenza che ha causato (e causa ancora oggi) la sofferenza di tante persone e agire invece per il bene comune. Non importa essere eroi: piccole gentilezze portano a grandi risultati.

giovedì 13 febbraio 2014

Stupidità umana

Scena prima, atto primo.
Luogo: Treno delle 7 affollato di studenti. (spec. posti "da 6",  tre di fronte ad altri tre)

Ragazza 1: *Guarda le amiche accigliata e con fare pensoso*
                 "...A chi è che ancora non l'ho detto? Ecco, a te: alla fine ho ordinato le scarpe su internet."
Ragazza 2: "Davvero? E quanto le hai pagate??"
Ragazza 1: "160"
Ragazza 2: *Annuisce con aria di approvazione* "Di che colore?"
Ragazza 1: "Marroni"
Ragazza 2: *Annuisce con aria di approvazione*

Voce fuori campo: "L'evento del secolo, che a chi ancora non l'ho detto? è aver comprato delle scarpe da 160 euro, costo probabilmente dovuto ad una targhetta con la marca più fashion del momento, valore effettivo inferiore ai 10 euro, poichè made in RPC."



Scena seconda, atto primo.
Luogo: Treno delle 7 affollato di studenti. (spec. posti "da 6",  tre di fronte ad altri tre)

Ragazza 3: *Rivolgendosi alla ragazza 1*
                 "Che bello smalto! E' della marca XXX?"
Ragazza 1: "No, è della marca YYY. E' quello che si asciuga in un minuto" *Annuisce convinta e orgogliosa*
Ragazza 3: "Ahh ho capito!" *Un attimo dopo, un'espressione di meraviglia attraversa improvvisamente il suo viso, al ricordo di una notizia strepitosa* "Una mia amica mi ha detto che esiste uno smalto trasparente che si può dare sull'altro smalto per farlo asciugare più in fretta!!"
Ragazza 1: *Annuisce con approvazione*

Voce fuori campo: "Aggiungendo il sottofondo musicale Aria sulla quarta corda di Bach e la voce di Angela senior, il contenuto culturale di questa scena potrebbe essere il materiale pefetto per la prossima puntata di Superquark."


Poiché le scene terza, quarta, quinta...et cetera non aggiungono nulla di diverso al copione, sono state omesse.

_______


Vi prego, non fraintendetemi. Non voglio dire che per forza, nella vita, sia doveroso sempre e comunque fare discorsi seri, parlare di cose serie, discutere dei grandi problemi del mondo e via dicendo. Se non ci concedessimo qualche momento di relax, se non parlassimo mai di cose stupide e divertenti, avremmo una vita noiosa e triste.
Quello che voglio dire, tuttavia, è che bisogna dare la giusta importanza alle cose. E' davvero necessario che tutte le tue amiche sappiano che hai comprato le scarpe all'ultima moda? Non basta indossarle e farle vedere? Hai scoperto che c'è un nuovo smalto che si asciuga in fretta? Non c'è bisogno di parlarne come se avessero appena inventato una nuova cura contro il cancro senza effetti collaterali!
Potreste dirmi: "Ma hai ascoltato solo dieci minuti di conversazione, non puoi giudicare! Sicuramente ci saranno anche per loro i momenti seri!" Tralasciando che non è la prima volta che assisto a scene di questo genere, sono piuttosto sicura che conversazioni simili si ripetano tutte le mattine e in tanti altri momenti delle loro vite. Sapete, certe cose si sentono a pelle.
Potreste dirmi: "Ognuno ha il diritto di parlare di cosa e come vuole, anche a te piace parlare - esaltata - di libri, film e serie tv!" Questo è vero, ma tendo a parlare - esaltata - di libri, film e serie tv con persone altrettanto esaltate e in momenti opportuni, se non privatamente. Senza aggiungere che, a parte un po' di sano  pazzo fangirleggiare, cerco di dare un senso critico a quello che sto dicendo. Non è che: questo libro è bellissimo perché è bellissimooo!!11!!111!!. Questo libro è bellissimo perché ha una trama avvincente, ha molti colpi di scena, ha uno stile coinvolgente, ha una profonda introspezione dei personaggi, ha descrizioni precise ma essenziali...

In realtà il titolo che ho dato a questo post non è esatto, più che di "stupidità", sto parlando di pigrizia mentale, termine che ho appena inventato ma che rende bene l'idea. Perché le persone si limitano sempre ai discorsi di circostanza? Perché sono tutti così materialisti e di ristrette visioni? Nessuno che voglia argomentare le proprie convinzioni, nessuno che vada al di là del semplice "Come va? Bene, grazie". Questa non è stupidità, questo è il non voler far girare le rotelle del nostro cervello perché sembra troppo faticoso. Ed tutto fondamentalmente uno spreco, uno spreco terribile: buttiamo via le nostre più grandi ricchezze che sono la nostra mente, i nostri sentimenti, la nostra individualità, cioè - nel complesso - il nostro essere umani.

Meditate gente.


Post scriptum
Per approvazioni, critiche, riflessioni, varie ed eventuali, potete lasciare un commentino qui sotto! ;)


mercoledì 1 gennaio 2014

Tirando le somme

Anno nuovo, vita nuova?
Non saprei. Negli ultimi giorni del 2013 ho vissuto momenti di euforia per tutti i cambiamenti che questo strano ed emoziante anno ha portato, ma ho anche attraversato fasi di profonda malinconia. E... Sì, direi che proprio adesso, mentre scrivo, ne sto passando una.
In realtà è una sensazione che provo spesso, quando, dopo aver aspettato per tanti giorni un evento - una festa, un viaggio, uno spettacolo - all'improvviso realizzo che è già finito. Capisco che ormai l'attimo è passato e se non l'ho vissuto intensamente e con gioia, ho perso irrimediabilmente qualcosa di importante.
Ed ecco che mi accorgo che un altro anno è concluso. Conservo un bel ricordo di quest'anno? Ho vissuto pienamente ogni giorno? Vorrei rispondere con un convinto sì! ma forse non sarebbe la completa verità. Nell'insieme non posso certo lamentarmi: come ho già scritto, quest'anno è stato pieno di traguardi, nuove esperienze ed amicizie e delle tante cose belle che mi sono capitate, non vorrei cambiarne alcuna.
Tuttavia credo di dover rimproverare qualcosa a me stessa. Un giorno ho trovato dentro di me due germogli, il primo racchiudeva i sentimenti più nobili, il secondo soltanto amarezza. Ma non ho capito quale fosse il giusto modo di coltivarli, così il primo - che volevo far crescere alto e forte in una sola direzione - era sempre più debole. E più quello era malato, più si rafforzava il secondo. In uno stato confuso di gioia e dolore, ho cercato ed invocato la solitudine, non riuscendo a sopportare la compagnia delle persone che invece avevo più a cuore: i miei amici.
Sento il dovere di scusarmi con loro e con me stessa. Mi scuso con loro per stata assente, per tutti i momenti in cui non sono stata una buona compagnia, per ciò che ho detto o non ho detto. Mi scuso con me stessa per tutto il tempo che ho perso coltivando sentimenti negativi, perché se l'avessi usato in un modo più saggio ora sarei più felice.

Nonostante ciò, voglio lasciare il 2013 con la speranza e il sorriso. Per questo spero in un anno pieno di felicità per tutte le persone a cui tengo, augurandomi di non perderle mai.



La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera.
E quello stesso pozzo che fa scaturire il vostro riso fu più volte colmato dalle lacrime vostre.
E come potrebbe essere altrimenti?
Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere.
La coppa in cui versate il vostro vino non è la stessa coppa cotta nel forno del vasaio?
E il liuto che addolcisce il vostro spirito non è lo stesso legno intagliato dal coltello?
Quando siete felici, se scruterete il vostro cuore, troverete che è ciò che vi ha fatto soffrire a darvi ora la gioia,
E quando siete afflitti, guardate ancora nel cuore, e scoprirete che state piangendo solo per ciò che vi ha reso felici.

[Khalil Gibran, "Il Profeta"]